La lapidazione delle donne in Afghanistan è diventata una pratica ammessa dalla legge: questa deprecabile e atroce pena – da anni perpetuata nel concreto senza alcuna remora dai Talebani – ora trova conferme non solo nella prassi, ma anche nelle norme che regolano lo Stato.
Le donne accusate di commettere adulterio ora potranno essere lapidate con il favore della legge. Una notizia sconvolgente arrivata in Occidente pochi giorni fa, grazie alle parole del mullah Azhundzada. “Io rappresento Allah, voi Satana”: questa una delle frasi del teologo islamico che risuonano come una minaccia per la civiltà e un messaggio inequivocabilmente chiaro del regime.
La lapidazione è una pratica antica usata per punire prostitute, adultere, assassini, apostati e gli omosessuali. La finalità è l’espiazione pubblica della colpa della persona accusata. “Le pietre non devono essere così grandi da far morire il condannato al solo lancio di una o due di esse; esse inoltre non devono essere così piccole da non poter essere definite come pietre”. Così recita il diritto iraniano nel capitolo riguardante la lapidazione, basandosi Shari’a, la legge islamica. Contro la donna in questi casi vengono ferocemente scagliati dei massi, dopo che viene ricoperta da questi fino all’altezza della vita, così da immobilizzarla.
Il governo dei Talebani sta tentando di portare avanti “una vera e propria politica di apartheid” – per non dire sterminio – contro le donne, come ha raccontato a Tag24 Luca Lo Presti, il Presidente della Fondazione Pangea.
Pangea è un’onlus che da oltre vent’anni anni lavora e si impegna attivamente per l’empowerment femminile, la promozione e la tutela dei diritti delle donne in Afghanistan (e non solo), affinché abbiano la possibilità di emanciparsi e di autodeterminarsi, partendo dall’istruzione per finire con l’ingresso nel mondo del lavoro.
Lapidazione donne in Afghanistan sancita per legge, la riflessione del presidente di Pangea Onlus
Di recente il “Guardian” ha parlato di un tema spesso dimenticato dai media occidentali, la condizione femminile in Afghanistan, la terra dove le donne non hanno diritti, con particolare riferimento alla lapidazione per adulterio tanto inneggiata dai Talebani.
L’attenzione sulla vicenda è stata accesa dall’avvocato e capo dell’organizzazione afghana per i diritti umani “Women’s Window Hope”, Safia Arefi, e al contempo, dalle stesse terribili parole del mullah Akhundzada, che ha lodato l’introduzione dell’orribile pratica nel corpo normativo.
Il pericolo di rivivere i giorni più bui del regime talebano in Afghanistan è più attuale e concreto che mai, soprattutto per chi non ha difese e non gode più di alcun diritto. Nell’impegno costante e incrollabile rivolto ad aiutare le donne di Fondazione Pangea, Tag24 ha intervistato il presidente della Onlus, Luca Lo Presti, per puntare i riflettori su questa tragica situazione.
D: Partendo dal ruolo e dalle attività che Pangea svolge da anni in Afghanistan, la prassi della lapidazione delle donne per adulterio è tornata in voga di recente perché prima era stata sospesa? Oppure c’è qualcosa che non torna, nel senso che è un’usanza che si è mantenuta nel tempo ma che ha smesso di fare clamore? L’introduzione della pratica tra le leggi è “la news del giorno” ma poi, nei fatti, se è sempre stata applicata…
R: La Fondazione Pangea lavora in Afghanistan da 22 anni e conosce molto bene la mentalità di questo paese, cioè la cultura patriarcale, che non ha mai abbandonato l’Afghanistan. Malgrado la permanenza per 20 anni di truppe occidentali, non si è mai pensato di lavorare in maniera profonda su quelle che sono le radici culturali che dominano l’Afghanistan e non solo, che hanno la meglio sulla cultura maschile in gran parte del mondo.
Noi occidentali abbiamo occupato quella nazione militarmente, combattendo con le armi e non con la pace. Questa per me è una premessa importante per capire il presente. La pratica della lapidazione contro le donne nelle zone più rurali dello Stato non è mai stata abbandonata, così come mai sono stati rispettati i loro diritti in tutto il paese, capitale compresa.
La cosa grave che è accaduta in questi giorni è che è stata messa per iscritto, è stata sancita per legge. Quello che si sta sviluppando in Afghanistan è un dramma che potrei definire un apartheid verso le donne. L’abbiamo visto verso i neri in Sudafrica, lo vediamo oggi verso i palestinesi. Un apartheid che si sta sviluppando in Afghanistan e in molti paesi del mondo. E’ inaccettabile.
Per i talebani in Afghanistan l’Occidente è come “Satana”. Lo Presti: “La violazione dei diritti delle donne e la religione diventano strumento di terrore”
Le dichiarazioni del mullah Hibatullah Akhundzada a Radio Television Afghanistan – l’emittente statale controllata dai talebani – ha annunciato la reintroduzione delle lapidazioni pubbliche per le donne che commettono adulterio, inneggiando all’Occidente come “Satana“, nascondendo dietro questa barbarie la volontà di allontanare “minacciose influenze”.
D: Dietro l’adozione di una legge su un’usanza barbara e spregevole come questa, il mullah ha ribadito la necessità di allontanare dall’Afghanistan le influenze occidentali. Cosa nasconde secondo lei questa condanna? In questo periodo si sta diffondendo, con veemenza sempre maggiore, l’idea che temi come la condizione della donna in alcuni dei paesi del Medio Oriente, non siano oggetto di interesse pubblico perché l’attenzione verso il Medio Oriente sarebbe spostata tutta- esclusivamente – sulla guerra che dilania la Striscia di Gaza. Quali sono le conseguenze?
R: Penso che le congetture che si possono fare siano molteplici. A partire da quanto lei ha accennato, arriverei anche agli attentati di Mosca da parte di Daesh, ovvero dell’ISIS e in particolare, di quella fazione di ISIS che proprio sta in Afghanistan. Il mullah, il capo spirituale di Kandahar, con le sue parole vuole ribadire il fatto che non è l’Isis, la voce pura dell’Islam, ma i talebani.
Dopodiché il braccio di ferro che i talebani portano avanti con l’Occidente è sicuramente in atto da anni: i talebani sono interessati ad ottenere un riconoscimento per mettere per sempre a tacere l’instabilità politica del Paese. E’ un gioco pericoloso, perché l’Afghanistan oggi non è solo la sede dell’Isis ma è diventata la terra, la patria di quasi tutti i terroristi che ci sono nel mondo in questo momento. Per questo motivo, non avere controllo su quel Paese, fa sì che diventi una vera e propria polveriera, un posto decisamente pericoloso per tutti.
La violazione dei diritti delle donne diventa uno strumento, anche la religione diventa un mezzo per condizionare la popolazione, ma in realtà di religioso non c’è mai niente, dato che in nessuna religione c’è scritto di uccidere. I Talebani non è vogliono provare la loro purezza di spirito verso l’islam, con altre regole di carattere etico e morale verso la popolazione tutta, ma solo con un inasprimento verso le donne.
Cosa si nasconde dietro l’accanimento verso l’adulterio in Afghanistan?
D: Il fatto di insistere sulla pena della lapidazione per un reato come l’adulterio non sembra casuale, soprattutto in accostamento ad alcune interpretazioni dell’Islam, nel senso che da quello che riportano media ed esperti, la fattispecie assume un senso molto lato, limitando incisivamente le libertà delle donne nel frequentare uomini con cui non condividono legami di sangue.
Un esempio può essere il recente caso di cronaca, dove una ragazza iraniana è stata ritrovata a morta in un garage a Napoli, con il suo fidanzato (italiano, ndr). All’inizio il Paese d’origine l’aveva condannata come una “poco di buono” e non era favorevole nel riportare la salma della giovane studentessa a casa. Questo accanimento contro l’adulterio non sembra una scelta causale…Cosa nasconde?
R: È una domanda interessante che mi porta a tante riflessioni profonde. Fondazione Pangea lavora tanto sul tema della violenza contro le donne, non solo in Medio Oriente, soprattutto per mano dei compagni, mariti o fidanzati. Trovo un parallelo molto stretto tra la lapidazione fisica che viene oggi legalizzata in Afghanistan e quello che accade in tantissimi altri paesi del mondo.
Questo mi riporta al tema della cultura maschilista, insita in ogni uomo, ovunque si trovi, perché in Italia forse non c’è una lapidazione fisica, ma su quasi tutto il territorio – e Pangea lo vede ogni giorno perché lavora proprio su questo tema- ci sono femminicidi per gelosia, piuttosto che la lapidazione morale da parte delle comunità di appartenenza, dei parenti, se una donna lascia il marito piuttosto che di un tradimento, ecco c’è sempre un peso, una misura differente rispetto al fatto che un uomo possa avere un’avventura e una donna debba essere lapidata fisicamente oppure moralmente.
E’ stata celebrata la Pasqua, dove Gesù Cristo salvò l’adultera dicendo: ‘Chi è senza peccato scagli la prima pietra’. Direi che sotto questo profilo, sia un italiano che un afghano, non sono le persone che possono scagliare la prima pietra.
La lapidazione delle donne negli stadi in Afghanistan: il simbolo di un teatro degli orrori
D: Dal punto di vista pratico, di frequente le lapidazioni contro le donne in Afghanistan sono avvenute all’interno degli stadi, uno dei simboli della cultura dell’Occidente. La scelta di questo luogo, per mettere in atto una prassi così raccapricciante, nasconde – in modo nemmeno così velato – l’intenti di “punirne una per educarle tutte”? Che messaggio si cela dietro questa volontà e quanto fa paura?
R: Pangea non ha mai abbandonato queste donne e mai abbandonerà questo popolo così martoriato, composto da uomini, donne e bambini che subiscono regimi come questi da sempre, che non sono mai stati liberi di scegliere per loro stessi. Le donne in Afghanistan hanno paura e io l’ho vista fin dal primo giorno.
Abbiamo visto questa paura negli occhi delle insegnanti delle nostre scuole, che però sono sempre venute lo stesso in aula per non abbandonare le giovani generazioni. Mi ricordo le loro parole: ‘Io quando cammino per strada e incrocio lo sguardo di un talebano temo per la mia vita’. Salutano la famiglia quando escono di casa, come se potessero non tornare mai più. Questo sentimento nelle donne è sempre stato presente e oggi è ancora più forte.
D: I Talebani, nel lapidare una donna in uno stadio, nel toglierle in generale, tutti i diritti, invece non sembrano avere alcun timore, agiscono senza remore. Le esecuzioni non avvengono all’interno di una prigione, di nascosto, sotto un “basso profilo”. Distruggere vite umane e macchiarsi di queste atrocità sembrano gesti degni di essere compiuti alla luce del sole. Lo stadio diventa un teatro di orrore a cielo aperto. Un luogo che assume un ruolo centrale nella società di oggi: pensiamo anche alla questione in Iran sulla possibilità di far accedere le donne allo stadio. Quale piano di lettura assume secondo lei?
R: E’ un parallelo, questo tra le esecuzioni nello stadio e il simbolo che assume, che io condivido in pieno. Venivano uccisi cristiani nell’arena in passato, e ora vengono uccise le donne nello stadio. L’arena era un luogo per i giochi e diventava anche un luogo di morte. Lo stadio è un posto di assembramento, anche simbolico.
Aggiungo che c’è poca attenzione e sensibilità rispetto a quanto accade alle donne nel mondo. Quasi fosse solo un problema delle donne e non un problema di femminicidio, cioè di una violazione totale di un’identità di genere. Questo mi sciocca profondamente.
I talebani riescono a fare questo davanti a tutti, senza avere un minimo di reticenza nell’uccidere una donna davanti alle altre persone, è perché fin da piccoli vengono convinti di essere nel giusto. Con Pangea lavoriamo con tanti ragazzi, quelli che poi probabilmente andranno ad uccidere queste donne, imbracciando fucile e bastone. Hanno subito un condizionamento culturale pesantissimo. Non hanno mai letto il Corano, sono state raccontate loro delle cose che prendono come un dogma incontestabile.
E proprio qua sta la radice del problema. La cosa che più mi ha spaventato è che la presenza occidentale per vent’anni in quel territorio, non ha costruito cultura di pace, non ha portato un’alternativa a quella che per millenni ha dominato quella popolazione. Non siamo riusciti a scardinare neppure un principio.