La Turchia è andata alle urne, domenica, 31 marzo 2024. Il partito dell’opposizione di sinistra, il Chp, ha ottenuto un risultato storico ed è diventato il primo partito a livello nazionale con il 37,7 per cento dei voti. Ha subito un colpo duro, l’Akp del presidente Erdogan che è diventato il secondo partito con il 35,5 per cento. Oltre a questi due grandi partiti, altri quattro sono riusciti ad ottenere almeno una città. Tag24 ha intervistato il giornalista Murat Cinar per approfondire il risultato delle elezioni amministrative in Turchia.

L’intervista a Murat Cinar sulle elezioni amministrative in Turchia del 2024

D: Nel 2023 l’opposizione del Chp aveva fatto un’alleanza anche con altri partiti minori di destra ed aveva avuto un sostegno da parte di Dem. Gli elettori di sinistra avevano una grande speranza di poter vincere contro Erdogan. Alla fine questo non è successo ma Erdogan ne era uscito indebolito. Dopo le elezioni, il Chp ha cambiato leader e classe dirigente e ieri ha ottenuto un successo storico. A cosa è dovuto questo risultato? È l’Akp che ha perso o è stato veramente un successo del Chp?

R: Tra quelle elezioni del 2023 e le elezioni che si sono svolte ieri ci sono diverse dinamiche che sono cambiate per cui oggi riusciamo a fare un’analisi netta. Prima di tutto la crisi economica è diventata più profonda ed Erdogan e il suo governo non hanno saputo dare una risposta. Come è successo qualche giorno prima delle elezioni, Erdogan ha detto:“Non ho soldi per aumentare le pensioni” quindi ormai è diventata più che ufficiale la disperazione, l’indisponibilità e l’incapacità del governo in merito a come potrebbe affrontare la crisi. Dall’altra parte è scoppiata la guerra in Israele e, nonostante l’interruzione delle relazioni diplomatiche, la Turchia non ha mosso un dito per impedire alle sue aziende private di commerciare con Israele. Questo ovviamente è un elemento che ha spinto il successo di ieri di Yeniden Refah.

Un altro punto, se dobbiamo paragonare la Turchia di ieri e di oggi, è il subentro nel gioco di Yeniden Refah. Nel 2019, era un attore inesistente. Fino al 2023 non faceva parte della coalizione al governo. In un anno Yeniden Refah ha utilizzato molto bene l’occasione che gli è stata data. Oggi conta il 6% dei voti ed è diventato il terzo partito più importante del paese. Questo è un elemento che ha fatto perdere le elezioni ad Erdogan.

Se invece cerchiamo di portare l’acqua al mulino delle opposizioni, ci sono una serie di punti che potevano essere a sfavore del Chp ma che li ha portati al successo. Il suo leader storico non c’è più e poteva essere un cambiamento radicale che avrebbe potuto portare all’insuccesso. È arrivato un nuovo leader non conosciuto ma anche questo ha portato un risultato positivo. Il leader storico, secondo l’elettorato, ormai era arrivato al capolinea ed era necessario tirare fuori una faccia nuova, diversa e giovane.

Inoltre, dobbiamo parlare assolutamente delle figure di Imamoglu e Mansur Yavas. Mentre nel 2019, Imamoglu era il sindaco sconosciuto di un piccolo municipio a Istanbul, e il suo risultato lo avremmo potuto interpretare come una reazione elettorale, oggi, dopo 5 anni, Imamoglu ha ottenuto un risultato schiacciante. La figura del sindaco è apprezzata dalla città più grande della Turchia. In 5 anni il suo operato, a differenza di quello che dice il governo, è stato di grande successo e gli elettori lo hanno riconfermato aumentando il loro appoggio. La stessa cosa, in modo clamoroso, è stata fatta ad Ankara. Mansur Yavas ha fatto una rivoluzione, un record, superando anche i risultati elettorali di Melih Gokcek, che ha governato la città per più di 20 anni. Dunque la coerenza, determinazione e il successo nel loro lavoro, ad Ankara ed Istanbul, dimostrano il fatto che l’elettore ormai si fidi del Chp e al posto dell’Akp abbia deciso di tirare fuori un’alternativa. Non possiamo più parlare di un voto di reazione come lo avremmo potuto interpretare nel 2019.

Stavolta, a differenza di allora e del 2023, il principale partito d’opposizione, il Chp, non aveva più il sostegno di Iyi Parti, Saadet, Refah oppure Gelecek. Possiamo quasi dire che aveva l’appoggio quasi esclusivo, sotto forma di accordo urbanistico, come l’hanno chiamato, del Dem, il partito più demonizzato, più criminalizzato e definito come terroristico. L’elettore non ha punito il Chp, anzi lo ha premiato. Il fatto che il Dem abbia consolidato un’alleanza, soprattutto nelle grandi città, non ha creato uno svantaggio anche per l’elettore del Dem. Nel 2019 questo partito aveva il 4,2%, oggi invece è diventato il quarto partito del paese portando a casa quasi 6% dei voti. Penso che sia stata la scelta più rischiosa ma anche coraggiosa che il Chp avrebbe potuto fare. Poteva farla già l’anno scorso, ma l’ha fatta quest’anno e ha portato a questo risultato.

Un’ultima considerazione: le elezioni di ieri sono state quelle con meno affluenza negli ultimi 20 anni. Il 76% è un numero molto grande per l’Europa, tuttavia è un numero molto piccolo per la Turchia. Bisogna vedere quale elettorato non è andato a votare. Se si sono astenuti gli elettori dell’Akp potremmo aggiungere un altro punto per spiegare la sconfitta di Erdogan.

Il risultato degli ultraconservatori

D: Rimanendo dal punto di vista del governo, l’Akp e il Mhp da anni hanno un’alleanza e questo ha portato anche alla scissione dei grandi politici dall’Mhp. Abbiamo visto che il voto degli ultranazionalisti è stato decisivo alle presidenziali. Al secondo turno un ex politico dell’Mhp ha regalato la presidenza a Erdogan. In queste elezioni, è stato colpito anche l’Mhp o sta mantenendo il proprio consenso?

R: No, il polo degli ultra nazionalisti è un polo che è scomparso. Se andiamo a vedere i voti del Iyi Parti e del Mhp del 2019, insieme facevano quasi 15 per cento, un numero molto sostanzioso e Iyi Parti nel 2019 aveva appena fatto la sua scissione dal Mhp ed era alla sua prima sfida elettorale. La prima esperienza possiamo dire che non l’hanno utilizzata bene. In queste elezioni, vediamo che Mhp e Iyi Parti insieme fanno a malapena la metà di quelle che hanno ottenuto nel 2019.

Le elezioni presidenziali e politiche del 2023 non possono essere paragonabili al 100% alle elezioni amministrative. Perché nelle elezioni amministrative l’elettore tende anche mettere in secondo piano la sigla del partito oppure il leader del partito, ma vota il sindaco.

Potremmo dire che alcuni sindaci dell’Mhp, finiti in grandi processi di corruzione e anche protagonisti di crimini molto più gravi, sono stati puniti dagli elettori. In alcuni casi, l’elettore conservatore è passato a Yeniden Refah. Questo partito ha ottenuto un successo in 36 municipi. Possiamo dire che l’elettore conservatore tendente ad essere nazionalista ha continuato a non votare Erdogan ma ha scelto di restare all’interno della coalizione spostando il suo voto a Yeniden Refah. Non potremmo altrimenti spiegare al cento per cento la provenienza del voto di ieri a questo partito.

Rientro nella scena degli ultraconservatori con Yeniden Refah

D: Erbakan, il padre del leader attuale di Yeniden Refah e mentore di Erdogan, era stato un protagonista della politica per oltre tre decenni rappresentando uno spicchio della società. Possiamo dire che prossimamente l’elettorato ultraconservatore sarà presente sotto la guida del figlio?

R: Non lo sappiamo. Yeniden Refah è entrato nel governo non con la sua sigla ma con la lista di Erdogan neanche un anno fa. È una super novità e l’esito elettorale più importante che ha ottenuto in modo autonomo è quella di ieri. Potrebbe essere stata una reazione popolare e non la manifestazione della fedeltà dell’elettore.

A differenza di Dem, che ha un elettore molto fedele e che proviene da un movimento storico, l’elettore di Yeniden Refah aveva già abbandonato il partito e si era spostato all’Akp con l’arrivo di Erdogan.

Vedremo nei prossimi quattro anni quanto Erdogan sarà disposto a scendere a compromessi. Potrebbe considerare Yeniden Refah come un nuovo alleato importante. Vedremo quanto Yeniden Refah sarà capace di cambiare le dinamiche all’interno della coalizione. Senz’altro è una situazione molto delicata per tutte e due parti. Infatti, qualche giorno prima delle elezioni, Erbakan aveva detto ad Erdogan: “Ritiro il mio candidato di Istanbul, però tu devi interrompere tutte le relazioni commerciali con Israele”. Questa cosa, nonostante mille proteste e discussioni parlamentari, Erdogan non l’ha fatta, anzi, l’ha anche rigettata come richiesta. Il leader di Yeniden Refah ha anche chiesto al presidente di portare le pensioni da 10.000 a 20.000 lire, una proposta che Erdogan ha rifiutato pubblicamente in piazza.

Se un domani Erdogan deciderà di accettare le proposte di Yeniden Refah senz’altro perderà e vincerà il leader degli ultraconservatori. Esattamente come nel 2015 aveva accettato di accogliere l’Mhp rinunciando ad alcuni suoi poteri e consegnando a quel partito una serie di elementi del sistema burocratico. Vedremo se accadrà lo stesso con Yeniden Refah o meno. Nei prossimi quattro anni potrebbero esserci le elezioni anticipate ma secondo l’intervento di Erdogan di ieri sembra una prospettiva irrealizzabile. Vediamo in questi prossimi anni che tipo di trattative ci saranno all’interno della coalizione e quanto reggerà.

Il ruolo degli elettori del Dem

D: Parliamo di Dem. È il quarto partito ma ha ottenuto dieci città, quindi da quel punto di vista in realtà è il terzo. Cosa significa vincere le grandi città?

R: Dem ha aumentato il suo voto e questo è molto importante. Come risultato ha rivinto in tutte le città in cui i suoi sindaci sono stati sospesi, arrestati o obbligati a vivere in esilio. Ha trionfato in tutte le città in cui c’è stata la chiusura dei suoi centri culturali, delle sue case di rifugio per le donne e delle sue compagnie teatrali in lingua.

La popolazione ha ridato al Dem, per la terza volta, perché questa è la terza tornata elettorale che il movimento porta a casa come vittoria, le chiavi delle città con risultati schiaccianti. A Diyarbakir stiamo parlando di un 65%, a Batman, la fortezza di Huda-Par, una città decisamente fondamentalista e conservatrice, ha vinto una donna con il 66% dei voti, e così via.

Hanno vinto in tre città metropolitane, sette città grandi e 60 municipi piccoli. Vuol dire che l’elettorato è molto legato ed è molto fedele al partito e non viene preso in giro. Il partito si comporta in modo adeguato, è coerente e continua a lottare nonostante tutto.

Dem è nato qualche mese fa e non aveva minimamente diritto agli aiuti e ai contributi statali. Anche il suo predecessore, Hdp, era stato scartato nel 2023, con la decisione della Corte Costituzionale, dall’accesso al tesoro per gli aiuti elettorali. Per non parlare del fatto che è stato chiuso l’ Hdp con l’accusa di attività terroristica. Dem aveva tutte le carte a suo sfavore tranne una: è un partito che rappresenta la determinazione di un popolo e un movimento storico. Questi sono due elementi molto importanti che hanno portato al successo ed ha aumentato i voti del partito. Nelle grandi città, facendo l’accordo urbanistico, ha condiviso la torta con il Chp. Anche questa manovra è stata approvata dagli elettori.

Il futuro politico della Turchia

D: Quali possono essere gli scenari futuri?

R: Se dovessimo partire dal Chp, senz’altro queste elezioni hanno fatto capire al partito che l’elettore lo premia se si muove in modo autonomo disfando l’alleanza che era stata costruita con gli altri partiti minori. Questo è un punto di forza e una bella conferma per il Chp. Senz’altro queste elezioni segnano la fine del partito Iyi, che era uno degli alleati principali fino all’anno scorso.

Il Chp sarà ancora più libero e avrà più spazio per diventare veramente un partito socialdemocratico. Non ha più bisogno di quei piccoli partiti che insieme fanno a malapena il 2% e potrebbe, se se sarà lungimirante, mettersi a tavolino a parlare con Dem, e costruire veramente un polo di centro-sinistra e sinistra con l’intento di offrire alla cittadinanza una serie di soluzioni economiche e sociali che Erdogan non ha voluto o non ha potuto offrire in queste ultimi anni.

Il presidente, purtroppo si trova in una situazione molto difficile economicamente, a livello internazionale è sempre più isolato e ha perso il sostegno elettorale locale di cui si vantava molto e per il quale i suoi alleati dimostravano un sostegno nei suoi confronti. Ormai, a livello internazionale, i dittatori che hanno un sostegno popolare contano molto, come ha detto Salvini qualche giorno fa quando ha vinto Putin. Questa è la logica dominante, purtroppo, nel mondo dei colonizzatori. Come diceva Draghi: “Sì Erdogan è un dittatore, ma un dittatore popolare e di cui abbiamo bisogno”. Adesso possiamo dire che queste elezioni sono la dimostrazione del fatto che il dittatore non ha più sostegno popolare, almeno non come prima.

Ora, purtroppo, ci possiamo aspettare una vera guerra nel sud est della Turchia. Una crociata contro i sindaci controllati dal Dem. Molto probabilmente possiamo aspettarci una politica di guerra in Siria e in Iraq come ha annunciato lo stesso Erdogan qualche settimana fa. Una guerra che potrebbe partire in modo capillare quest’estate, in particolare in Iraq e non soltanto, in collaborazione con Baghdad a causa di un accordo firmato un mese fa. Per la prima volta, l’Iraq ha definito il Pkk come un’organizzazione terroristica e ha detto che si sta preparando per le operazioni congiunte con la Turchia. Erdogan molto probabilmente giocherà di nuovo la carta della sicurezza nazionale, dell’associazione del Pkk al Dem e del consolidamento del suo elettorato nazionalista fondamentalista attraverso la retorica della lotta contro il terrorismo.

Sarà da capire quali saranno le reazioni dei partiti di opposizione e il comportamento degli elementi del sistema burocratico che si sentiva strozzato dalla presenza del regime. Vedremo che fine faranno Osman Kavala e Selahattin Demirtas e tanti altri ostaggi politici. La magistratura potrebbe prendere forza e coraggio e da questo esito elettorale e vedremo se deciderà di cambiare rotta perché all’interno dello stato ci sono delle dinamiche che aspettano solo il cambio del potere. Potrebbe darsi che sia arrivato il momento in cui il deep state ha deciso di cambiare il leader e contare su un altro partito. Tutto questo da vedere i prossimi quattro anni, ma secondo me i prossimi 3-4 mesi saranno molto decisivi.