Non è un momento facile per gli exchange di criptovaluta. Dopo la notizia della causa intentata dal Department of Justice degli Stati Uniti contro KuCoin, per cospirazione criminale multimiliardaria, ora è Coinbase a trovarsi in notevole difficoltà.
La Securities and Exchange Commission ha infatti riportato una vittoria importante nella sua causa contro la piattaforma nella giornata di ieri. A renderla tale la decisione presa nella giornata di ieri dal giudice distrettuale statunitense Katherine Polk Failla. In pratica, la tesi secondo la quale Coinbase avrebbe dato vita alla vendita non registrata di titoli formulata dall’autorità di controllo dei mercati finanziari potrebbe essere accolta da una giuria, nel corso del processo.
La SEC mette a segno un colpo di rilievo
La tesi della SEC è assolutamente fondata: questo il giudizio espresso da una corte distrettuale degli Stati Uniti sulla causa intentata contro Coinbase. La corte di Manhattan ha di conseguenza respinto la richiesta di rigettare la causa intentata dall’ente di vigilanza avanzata dall’azienda. Un giudizio che ha si è fatto immediatamente sentire sui mercati finanziari, ove le azioni dell’exchange di criptovalute hanno immediatamente lasciato il 2,5% del proprio valore.
La vicenda ha avuto inizio nel passato mese di giugno, quando Coinbase si è vista recapitare una causa da parte della Securities and Exchange Commissione. A giustificarla il fatto che, a detta della SEC, la società agiva come broker e borsa di scambio non registrata. Una tesi la quale, come al solito, ha visto come risposta l’affermazione che non esiste una normativa chiara al proposito, derivante dal fatto che le criptovalute sono nate in epoca molto posteriore alla proclamazione di quelle esistenti.
Mercoledì, nella sua sentenza, il giudice distrettuale statunitense Katherine Polk Failla ha risposto proprio a questa tesi, ricordando: “La nomenclatura ‘cripto’ potrebbe essere di epoca recente, ma le transazioni contestate rientrano comodamente nel quadro che i tribunali hanno utilizzato per identificare i titoli per quasi ottant’anni.”
Ha poi aggiunto: “La Corte ritiene che la SEC sostenga adeguatamente che Coinbase, attraverso il suo programma di staking, si è impegnata nell’offerta e nella vendita non registrate di titoli”.
In un altro punto della sentenza, il giudice ha comunque accettato di respingere l’affermazione della SEC secondo la quale Coinbase avrebbe agito come broker non registrato rendendo disponibile ai clienti la sua applicazione Wallet. Aggiunta che non cambia però la sostanza del verdetto.
Il commento di Coinbase
Interpellata da CNBC, Coinbase ha risposto con un collegamento a una serie di post pubblicati da Paul Grewal, il responsabile legale dell’exchange, sulla piattaforma di social media X, l’ex Twitter. In particolare, ha affermato: “Eravamo preparati per questo e non vediamo l’ora di scoprire di più sulle opinioni interne della SEC e sulle discussioni sulla regolamentazione delle criptovalute”.
La SEC, dal canto suo, non ha perso tempo per sfruttare la vittoria riportata a Manhattan. L’autorità ha infatti provveduto immediatamente a depositare un avviso della decisione di Failla nel caso Coinbase nell’ambito di una causa pendente presso il tribunale federale del Distretto di Columbia contro Binance. La commissione, in questo caso, accusa lo scambio fondato da Changpeng Zhao di aver dato vita a molteplici offerte e vendite non registrate di titoli di criptovalute.
Un momento molto particolare
La notizia della decisione arriva in un momento molto particolare, che vede Coinbase assumere un ruolo sempre più importante nell’adozione degli asset digitali da parte di Wall Street.
Nel passato gennaio, la SEC ha infatti approvato gli ormai famosi ETF spot su Bitcoin, molti dei quali hanno adottato proprio l’azienda di Brian Armstrong in qualità di partner di custodia. Dal momento in cui hanno fatto il loro esordio, i fondi in questione hanno incamerato non meno di 52 miliardi di dollari.
Un dato che non ha però ammorbidito l’atteggiamento della SEC nei confronti degli exchange. Testimoniato dalle dichiarazioni di Gary Gensler, il numero uno dell’autorità, secondo il quale queste piattaforme si chiamano exchange, ma nella pratica vanno a combinare una serie di funzioni che non spettano loro. Con una chiosa abbastanza eloquente: “Non vediamo la Borsa di New York gestire un hedge fund”.