Si celebra oggi, giovedì 28 marzo 2024, la Giornata Mondiale dell’Endometriosi, importante ricorrenza internazionale che mira a sensibilizzare la popolazione su questa malattia invalidante che, spesso e volentieri, comporta gravi conseguenze sia a livello fisico che psicologico.
Si stima che in Italia, oggi, ne soffrano circa 3 milioni di donne, una su 10. Per capire l’impatto che tale patologia può avere sulla vita quotidiana, noi di Tag24.it abbiamo intervistato Stefania Saracino, una donna che ha ricevuto la diagnosi all’età di 35 anni.
Giornata Mondiale dell’Endometriosi 2024, il racconto di Stefania: “Sono sempre stata male. La diagnosi a 35 anni”
Stefania oggi ha 53 anni, è una madre, ama lo sport ed è una persona molto attiva nelle attività quotidiane di sensibilizzazione a proposito di questa malattia. Ha fondato il gruppo Facebook “Endometriosi, se la conosci fa meno male”, di cui è attualmente amministratrice.
Si tratta di un vero e proprio punto di riferimento social per tutte le donne che hanno dubbi, perplessità o semplici domande in marito a questa patologia.
In occasione della Giornata Mondiale dell’Endometriosi 2024 che ricorre oggi, Stefania ci ha raccontato la sua storia e la sua esperienza con la malattia.
D: Che cosa rappresenta per lei l’endometriosi?
R: Rappresenta qualcosa che, viste le varie difficoltà che comporta, mi ha permesso di superare tanti miei limiti e di mettermi in gioco per avere una vita “normale”, come lo è per gli altri. Visto che ci sono tante limitazioni a livello fisico, a volte ci si può negare di compiere determinate attività.
Per quanto mi riguarda, dopo che io ho assimilato il fatto di avere questa malattia, sono riuscita ad andare oltre e ad avere la forza di affrontare questa, che per me è una sfida continua.
D: Quando e come ha ricevuto la diagnosi?
R: Adesso io ho 53 anni. Ho ricevuto, per la prima volta, la diagnosi di endometriosi a 35. A seguito di un’ecografia, i medici mi avevano detto che sembrava che avessi un brutto male a una tuba. Decisero di operarmi. Mi hanno aperto ma poi mi hanno richiuso subito perché non erano attrezzati per quello che avevano scoperto, in quanto servono dei centri specializzati.
È stato a quel punto che mi hanno diagnosticato l’endometriosi. Dopo neanche 9 mesi, sono stata operata nuovamente. L’intervento è stato tosto. Avevo una endometriosi al terzo stadio, con molte aderenze all’intestino.
Poi ho iniziato a prendere la pillola di continuo, perché quello era l’unico sistema. Ciò mi ha portato ad andare in menopausa farmacologica a 35 anni. A 45 in quella effettiva. Ho avuto molti problemi dopo, come l’osteoporosi e tante altre patologie annesse.
D: Anche lei, come tante altre donne, si è sentita dire che avere dolori durante il ciclo era normale e che doveva solo sopportare?
R: Il primo ciclo mi è arrivato a 10 anni e mezzo. Io sono sempre stata male. A scuola, da ragazzina, ero sempre in medicheria. Mi è capitato svariate volte di andare al pronto soccorso, piegata in due dal dolore. Una volta arrivata, mi facevano una puntura e mi dimettevano.
Le conseguenze fisiche e psicologiche della malattia
D: Tra le varie problematiche portate da questa patologia, c’è anche la difficoltà ad avere figli.
R: Io, a differenza di molte altre donne, sono stata molto fortunata perché ho avuto un bambino. Avevo 28 anni. Ho scoperto di avere l’endometriosi solo dopo aver avuto mio figlio. Sono stata davvero fortunata.
Quando ho ricevuto la diagnosi, ho trovato molto supporto in gruppi di auto-aiuto. Ho conosciuto persone come me, che avevano i miei stessi problemi e provavano le mie stesse sofferenze. Finalmente, a quel punto, mi sono riconosciuta. Ho cominciato a piangere: non ero più sola. Mi sono sentita veramente accolta.
D: Quali sono le conseguenze psicologiche dell’endometriosi?
R: Ci si sente non capita, diversa dagli altri. Subentra la frustrazione. Io sento di avere momenti in cui mi devo fermare, nonostante sia una persona molto attiva e sportiva. Questa malattia porta a stancarsi molto di più.
Alcune donne la chiamano “mostro”, ma io non sono d’accordo perché è parte di noi. Noi non siamo mostri. Io cerco di sfruttarla per dare voce alle mie emozioni e ai miei sentimenti. Lo faccio, ad esempio, scrivendo poesie. Con una scrittura curativa.
“Trasformare” è la mia parola chiave. Sapere che l’endometriosi è nella nostra vita, ma c’è anche altro. Dobbiamo ricordarci inoltre che non siamo sole.
D: Oggi l’endometriosi è inserita tra i LEA nell’elenco delle patologie croniche e invalidanti, ma ci sono ancora molti passi da fare.
R: Noi abbiamo fatto e continuiamo a fare battaglie in questo senso. Ci sono donne a cui viene riconosciuta l’invalidità dopo molto tempo, sofferenze e fatiche.
Stefania: “Investire sulla ricerca e fare screening nelle scuole”
D: In Italia ne soffre una donna su 10, 3 milioni. Eppure se ne parla pochissimo e c’è una grande ignoranza su tema. Cosa si potrebbe fare?
R: Sicuramente investire sulla ricerca. Spero che le nuove generazioni non abbiano le stesse difficoltà che abbiamo avuto noi. Negli ultimi anni ci sono stati importanti miglioramenti, ma bisogna continuare.
Ultimamente, con mia grande gioia, sono anche molto cresciuti in varie città italiane i gruppi di ascolto e di aiuto, che sono molto utili. Certo, sono necessarie maggiori convenzioni.
L’endometriosi è una malattia anche a livello sociale. Per questo bisognerebbe fare prevenzione e sensibilizzazione. Secondo me è fondamentale andare nelle scuole e fare screening nelle ragazze che sono nell’età dello sviluppo e possono avere questo problema.
Sarebbe molto utile anche istruire i consultori, perché questi sono i primi posti dove le giovani vanno quando iniziano ad avere rapporti sessuali.
C’è ancora un po’ di pudore nel parlare di queste cose, ma invece noi ci dobbiamo far vedere. Io, nel mio piccolo, faccio quello che posso. Penso che chi ha visibilità dovrebbe farsi sentire al massimo.