Su Annalucia Cecere ci sarebbero solo “sospetti”, non “indizi”. A sostenerlo è il gup Angela Maria Nutini nelle motivazioni della sentenza con cui lo scorso primo marzo ha prosciolto l’insegnante di 58 anni dall’accusa di aver ucciso con crudeltà e per futili motivi la 26enne Nada Cella, tovata in fin di vita nello studio commerciale dove lavorava come segretaria e morta poco dopo il ricovero in ospedale il 6 maggio del 1996.

Le motivazioni della sentenza con cui Annalucia Cecere è stata prosciolta

Cecere era stata iscritta nel registro degli indagati per omicidio dalla Procura di Genova, che nel 2021 aveva riaperto il caso per fare luce sui nuovi elementi emersi nel corso delle indagini difensive portate avanti dalle consulenti della famiglia della vittima, l’avvocata Sabrina Franzone e la criminologa Antonella Delfino Pesce.

Elementi che facevano pensare che la donna, oggi 58enne, potesse aver ucciso la 26enne per motivi di “gelosia”, venendo coperta dall’allora datore di lavoro della giovane Marco Soracco – di cui sembra fosse innamorata – e dalla madre Marisa Bacchioni, che a loro volta sono stati prosciolti dalle accuse di favoreggiamento e false dichiarazioni.

Innanzitutto c’era la testimonianza della signora Giuseppina Radatti (oggi defunta) e del figlio Rosario, che avevano sostenuto di aver visto una donna sporca di sangue allontanarsi dallo stabile di via Marsala, a Chiavari, in sella a uno scooter; poi il ritrovamento, a casa della Cecere, di alcuni bottoni simili a quello che era stato rinvenuto accanto al corpo di Nada.

Elementi che il giudice dell’udienza preliminare Angela Maria Nutini ha ritenuto “insufficienti” per un rinvio a giudizio della 58enne, sostenendo che contro di lei ci siano solo “sospetti”.

La ricostruzione alternativa fornita dal giudice

Stando alla ricostruzione del gup, Nada Cella potrebbe anche essere morta per motivi diversi dalla “gelosia” che Annalucia Cecere avrebbe provato nei suoi confronti per le attenzioni riservatele da Soracco e per la posizione da lei occupata all’interno del suo studio (come ricostruito dalla Procura); in particolare perché poteva essere venuta a conoscenza di una “situazione di illeicità” del luogo di lavoro. Malaffari in virtù dei quali Soracco e la madre avrebbero poi tentato di depistare le indagini, per “tutelarsi” e non per tutelare l’assassino. Si tratta di ipotesi.

La ricostruzione dell’omicidio

Quando fu trovata in fin di vita, poco dopo le 9 di mattina del 6 maggio 1996, Nada Cella aveva 24 anni e da un po’ lavorava come segretaria per Soracco. Quel giorno era uscita di casa molto presto e, dopo aver accompagnato la madre sul posto di lavoro, si era recata in panetteria, accendendo il suo computer alle 7.51.

Al momento del ritrovamento, si trovava, in posizione supina, tra il muro e la scrivania del suo ufficio di via Marsala, con il cranio fracassato. Morì in ospedale poco dopo il ricovero nonostante il tentativo dei medici di salvarla. L’autopsia stabilì che era stata colpita alla testa con un oggetto contundente dopo essere stata picchiata.

Quando gli inquirenti arrivarono sulla scena del crimine per cercare di ricostruire l’esatta dinamica del delitto, era stata contaminata: i soccorritori della Croce Verde intervenuti dopo la chiamata allarmata di Soracco, che aveva detto loro di pensare che fosse caduta, si erano preoccupati di salvarla e non avevano preso le accortezze necessarie, spostando addirittura la scrivania per avere lo spazio necessario a compiere le dovute manovre.

La madre del commercialista, che viveva al piano superiore, aveva ripulito l’ascensore, il corridoio e le scale dalle tracce di sangue lasciate dal killer. Tracce che avrebbero potuto incastrarlo.