Lo scorso 21 marzo è uscito al cinema “Eravamo Bambini”, un film drammatico dalle atmosfere cupe diretto dal regista Marco Martani. Tratto dal monologo “Zero” di Massimiliano Bruno, questa pellicola racconta la storia di cinque amici che, in maniera assai violenta e scioccante, hanno tutti perso i genitori. Un noir che parla di desiderio di vendetta, ma anche di disperazione cieca, di come un evento traumatico può destabilizzare la mente di un bambino a tal punto da impedirgli di divenire un adulto capace di vivere un’esistenza risolta.
“Eravamo Bambini”, recensione
Roma. Tra le strade della capitale vivono quattro ragazzi che un tempo condividevano un intenso legame d’amicizia nato, durante le vacanze estive, in riva alle splendide spiagge di un paesino calabrese.
Uno di questi è Margherita (Lucrezia Guidone), ormai trentenne, che possiede una bellezza consumata da un opprimente tormento interiore che sembra non darle mai tregua. Occhi chiari, carnagione olivastra, lunghi capelli castani, un seno abbondante e un corpo prorompente nascosti da un abbigliamento che non le rende giustizia. L’iride bicolore, tra il verde e l’azzurro, delle sue pupille contrasta coi solchi rossastri delle occhiaie che le incorniciano lo sguardo rassegnato di chi ha perso la gioia. Si concede senza entusiasmo a qualunque uomo le capiti, cercando di colmare un vuoto insopportabile con una sessualità smaliziata e apatica.
Il secondo è Gianluca (Alessio Lapice), ex fidanzatino di Margherita. I suoi occhi blu profondo come il mare spiccano accostati ai capelli scuri e ai peli bruni della barba. Ha un incarnato niveo e l’espressione assorta e angustiata di chi porta un peso troppo grande sul cuore. Non riesce a gestire la rabbia neanche quando per lavoro cinge tra le mani un manganello.
Poi c’è Walter (Lorenzo Richelmy), ora conosciuto come Inferno, diventato un trapper di successo tra i ragazzini. Era bello, con gli occhi grandi e lo sguardo che trafigge, le labbra rosa a delineare un sorriso dalla dentatura perfetta, ma ha deciso di deturparsi metà volto tatuandosi lo scheletro osseo del viso per nascondere agli altri la sua anima spezzata. Ha una figlia di circa sette anni che vede di rado, un rapporto complicato con le donne che tratta con superficialità e sfrontatezza e si comporta con tutti con aggressività e distacco. Ѐ totalmente incapace di avere una relazione sana col prossimo.
E per finire c’è Andrea (Romano Reggiani), fratello minore di Margherita. Una folta chioma di ricci castani gli incornicia la fronte, ha la pelle candida, gli occhi verdi e la corporatura esile. Ha la coscienza violata da qualcosa che proprio non riesce a ricordare, ma ne ha una vaga percezione; quel tanto che basta a ferirlo e gettarlo tra le braccia oscure e profonde dell’eroina.
A completare il gruppo rimangono gli ultimi due amici che hanno sempre vissuto in Calabria e lì sono rimasti: Peppino (Giancarlo Commare), figlio del sindaco del paese dove è nata questa storia che lega indissolubilmente i protagonisti e Antonio (Francesco Russo), conosciuto da tutti come Cacasotto.
Peppino ha i capelli neri, ricci, gli occhi marroni, è magrolino e discretamente alto. Indossa il tipico abbigliamento pacchiano e provinciale da figlio unico, viziato dai genitori facoltosi. Non sembra andare molto d’accordo con suo padre, l’avvocato Rizzo (Massimo Propolizio) che riveste anche una carica pubblica come sindaco, ma allo stesso tempo non pare riesca a tenergli testa, rimanendone succube. Tant’è che vive ancora a casa con mamma e papà ed è costretto a seguire le orme di quest’ultimo in politica. Taciturno e riflessivo appare assai sensibile, ma dentro di sé nasconde una personalità nera come il catrame.
In ultimo Antonio (Francesco Russo), col viso paffuto e i baffi scuri, la chioma diradata che lascia intravedere la cute della testa rotonda. Non è molto alto e ha il fisico appesantito, porta degli occhiali dalla montatura spessa.
Fa il postino in paese e ha un parziale ritardo mentale.
Cinque di loro hanno perso i genitori e tutti e sei condividono un segreto inconfessabile che gli ha rovinato irrimediabilmente la vita. Un ricordo che ogni giorno li pugnala dritti al petto e gli stringe la gola strangolandoli quasi a morte. Qualcosa è successo un’estate di vent’anni fa, proprio quella in cui la maggior parte di loro è rimasta orfana. Adesso adulti, l’unica cosa che li accomuna è la sete di vendetta e il bisogno disperato di giustizia per saziare una fame d’affetto che non si placa mai.
“Eravamo Bambini”, critica
Tratto dal monologo intitolato “Zero” del regista, sceneggiatore e attore Massimiliano Bruno, Marco Martani porta sul grande schermo “Eravamo Bambini”, il suo terzo film alla regia.
Sviluppato in tre linee temporali che si intervallano durante lo scorrere della narrazione, questa pellicola parla di come un evento traumatico subito durante l’infanzia e l’adolescenza può turbare irreparabilmente la psiche di un individuo riversandosi anche sulla costruzione della vita futura.
Sei bambini, ormai divenuti adulti, reagiscono in modi differenti a un fatto estremamente scioccante che con violenza si è abbattuto sulle loro giovani menti creando delle crepe insanabili e rendendoli, di fatto, incapaci di condurre un’esistenza normale.
Le immagini di questo thriller, presentato in anteprima nel 2023 al festival Alice nelle Città, ricordano a tratti lo stile di regia di Stefano Sollima senza però divenirne una copia senz’anima.
Se pur ambientato principalmente in Calabria, in realtà le riprese sono state girate interamente nel Lazio tra Roma, Minturno, Gaeta e Formia.
Recitato molto bene da tutti gli attori, devo però sottolineare la vera rivelazione di questa rappresentazione cinematografica: Francesco Russo.
Con la sua toccante interpretazione di spessore del personaggio Cacasotto, ha dato un prestigio in più a questa storia estremamente drammatica.
Personalmente le sue prove attoriali le ho trovate le più coinvolgenti, facendo presagire una lunga carriera di grandi successi.
Marco Martani confeziona un ottimo noir, particolarmente struggente, che costituisce un valore aggiunto per il genere, all’interno del cinema italiano, nel quale siamo ancora un po’ troppo acerbi.