Chi pensava ad una prossima risoluzione della vera e propria saga relativa a Do Kwon, il fondatore di Terra (LUNA), si è sbagliato, ancora una volta. Quando sembrava che l’imprenditore sudcoreano fosse in procinto di essere estradato in patria, è arrivato nuovamente un contrordine, proveniente stavolta dal Procuratore Supremo del Montenegro, Paese in cui Kwon è in custodia ormai dal marzo del 2023.
Alla base del nuovo colpo di scena, ci sarebbe la contestazione delle procedure adottate dall’Alta Corte per imporre l’estradizione in Corea del Sud invece che negli Stati Uniti, l’altro Paese che contende a quello asiatico l’onore di ospitarlo nelle patrie galere. In particolare, l’Alta Corte avrebbe esorbitato dalle proprie prerogative adottando procedimenti abbreviati. Da qui alla ricusazione della decisione presa, il passo è stato breve.
Un colpo di scena chiama l’altro
L’ultima decisione arriva ad appena un giorno di distanza dal respingimento dell’appello di Do Kwon contro la sua estradizione in Corea del Sud. Tale decisione avrebbe dovuto essere definitiva e non poteva essere nuovamente contestata in tribunale dal fondatore di Terra o dagli Stati Uniti.
A fare le loro veci e a fermare di nuovo il congegno della giustizia è stato quindi il Procuratore Supremo, con una decisione che apre le porte ad un nuovo dibattimento nelle aule di giustizia. Resta naturalmente da capire quando e come avverrà l’atto finale di questa saga che sta assumendo i toni della pochade.
Do Kwon e il suo socio in affari, Chang-joon Han, sono stati arrestati in uno scalo montenegrino nel marzo dello scorso anno, mentre tentavano di viaggiare su un aereo privato per Dubai con un passaporto costaricano falso. Entrambi gli interessati hanno naturalmente affermato di non sapere che i passaporti erano contraffatti. Sottoposti a processo, entrambi sono sono stati giudicati colpevoli e condannati a quattro mesi di carcere per il reato, scontati nel Paese balcanico.
A febbraio, Han è stato quindi estradato in Corea del Sud, ove è stato accusato di essere coinvolto nel crac di Terra. Stando a quanto dichiarato dal Ministero della Giustizia di Seoul, l’ex direttore finanziario di Terraform Labs, ove giudicato colpevole, rischia una condanna all’ergastolo.
Cosa potrebbe accadere ora
Ormai, alla luce di quanto accaduto sin qui, formulare previsioni sulla vicenda di Do Kwon sembra un puro esercizio stilistico. Già due volte, infatti, il fondatore di Terra è riuscito a scansare l’estradizione negli Stati Uniti. Ora è toccato al governo sudcoreano saggiare le complicazioni della giustizia montenegrina e vedere annullata quell’estradizione che, pure, sembrava ormai dietro l’angolo.
Secondo l’avvocato montenegrino Goran Rodic, Do Kwon sarà probabilmente estradato in Corea del Sud dopo il 23 marzo, ma si tratta pur sempre di una previsione. Mentre la realtà si è dimostrata sin qui molto diversa, con una serie di colpi di scena destinati ad aumentare i malumori di coloro che hanno perso i loro soldi nel crac di Terra.
A tal proposito occorre ricordare come, proprio di recente, un’associazione di utenti danneggiati nella vicenda abbia pubblicato una petizione in cui si chiede di lasciare Do Kwon alla giustizia statunitense. Secondo l’associazione, infatti, quella locale darebbe troppe possibilità di farla franca al fondatore di Terra. Molto meglio, di conseguenza, lasciare l’uomo agli Stati Uniti ove, notoriamente, i reati di carattere finanziario sono perseguiti con durezza draconiana.
La vicenda di Do Kwon si intreccia con quella di Sam Bankman-Fried
A conferma di quanto affermato dagli ex utenti di Terra, negli Stati Uniti sta procedendo spedito verso l’epilogo il processo a Sam Bankman-Fried. Il fondatore di FTX, infatti, è in attesa di sapere quale sarà la sua pena, con richieste che si vanno a posizionare tra i 40 e i 50 anni di reclusione. Cui si aggiungerebbe una sanzione pecuniaria pari a undici miliardi di dollari.
Richieste che fanno capire i motivi per i quali Do Kwon non voglia essere processato negli Stati Uniti. Ad oggi, comunque, sembra che a giudicarlo sarà una corte del suo Paese natale. A questo punto, però, il quesito non è tanto su chi lo giudicherà, ma quando.