Greenpeace USA è tornata all’attacco dell’industria mineraria di Bitcoin, scatenando un vero e proprio putiferio. In un rapporto pubblicato nella giornata di martedì, la filiale statunitense dell’organizzazione no-profit globale si è avventurata in un discorso abbastanza pericoloso, affermando di voler mettere in evidenza i rapporti profondi del settore con l’industria dei combustibili fossili e con i “negazionisti del clima di destra”. Un discorso estremamente scivoloso, in quanto va a toccare non solo tematiche collegate al clima, ma anche la politica.

I presunti legami denunciati da Greenpeace USA sarebbero da ricondurre in particolare a quella che viene definita una vera e propria porta girevole tra l’industria mineraria di Bitcoin e l’amministrazione Trump. Una denuncia che arriva peraltro nel momento in cui l’ex presidente sta progressivamente ammorbidendo la sua contrarietà nei confronti dell’icona crypto.

L’attacco di Greenpeace USA a Bitcoin scatena un putiferio

L’attacco di Greenpeace nei confronti del mining di Bitcoin è molto violento. Partendo da una constatazione ben precisa: “Dato che Bitcoin fornisce un’ancora di salvezza per i combustibili fossili aiutando a mantenere in funzione gli impianti di carbone e gas sporchi, non dovrebbe sorprendere che le aziende di combustibili fossili e i negazionisti del clima siano entusiasti del settore”.

In pratica, proprio tali legami metterebbero in dubbio le argomentazioni che vorrebbero il mining di Bitcoin condotto in gran parte tramite fonti di energia rinnovabile, destinato a ridurre le emissioni di metano e stabilizzare le reti elettriche.

In tal senso Greenpeace USA non sembra avere dubbi: “La maggior parte dell’elettricità per il mining di Bitcoin proviene da petrolio, carbone e gas. Nel frattempo l’aumento della domanda di energia da parte delle miniere di Bitcoin sta mettendo a dura prova le reti elettriche e aumentando i costi per i contribuenti, mentre sta facendo poco o nulla per l’espansione delle energie rinnovabili.”

La risposta dei fans di Bitcoin non si è fatta attendere

La parte attaccata, naturalmente, non si è fatta pregare per rispondere a tono. Tanto da accusare l’organizzazione no-profit di diffondere consapevolmente disinformazione sull’uso energetico di Bitcoin.

I sostenitori del mining, in particolare, hanno ribattuto affermando che i benefici del settore sono stati messi nero su bianco all’interno di studi indipendenti. Per poi aggiungere che le affermazioni di Greenpeace USA si baserebbero su fonti obsolete e ampiamente sconfessate.

Ancora più precisa la risposta proveniente dalle aziende minerarie. È stato Pierre Rochard, vicepresidente delle comunicazioni di Riot Platforms, a ricordare che i miner Bitcoin che non utilizzano energia rinnovabile sono semplicemente destinati al fallimento. Per poi aggiungere: “Le emissioni derivanti dalla produzione di energia sono già regolamentate, la produzione rinnovabile è in rapida crescita negli Stati Uniti e lo stesso mining di bitcoin è a emissioni zero”.

L’energia rinnovabile costa meno ai minatori

Un dato di fatto confermato da Isaac Holyoak, Chief Communications Officer di CleanSpark, azienda che ha investito milioni di dollari per dare vita a infrastrutture energetiche in grado di assicurare energia pulita ai siti industriali. Con il risultato che l’azienda li alimenta utilizzando l’81% di energia priva di carbonio. Per poi sottolineare che le fonti rinnovabili sono più economiche per le aziende rispetto al carbone. La tesi di fondo è quindi implicita: quale vantaggio avrebbero le aziende minerarie ad usare energia più costosa?

Lo stesso Holyoak ha poi aggiunto: “Il rapporto di Greenpeace è una totale sciocchezza. I minatori di Bitcoin sono importanti per monetizzare l’energia abbondante ed in eccesso nelle comunità rurali e promuovere gli investimenti nella rete elettrica.”

Anche Kyle Schneps, vicepresidente delle politiche pubbliche presso Foundry, è voluto intervenire nella discussione. Lo ha fatto ricordando un fatto di rilievo: “Secondo il Lawrence Livermore National Laboratory, fino a 2/3 del consumo energetico negli Stati Uniti viene rifiutato o utilizzato in modo inefficiente: i minatori di Bitcoin utilizzano ciò che altrimenti verrebbe sprecato”.

I dati di Greenpeace USA sul mining sono obsoleti

Le risposte sono poi salite di tono, con il trascorrere delle ore. Il primo segnale del fastidio verso il rapporto è arrivato da Daniel Batten, cofondatore di CH4 Capital ed ex attivista di Greenpeace. Un personaggio direttamente interessato nella discussione, considerato come il suo fondo investa in aziende che estraggono Bitcoin utilizzando gas di discarica che altrimenti verrebbe bruciato generando esclusivamente inquinamento atmosferico: “È ormai ampiamente riconosciuto che Bitcoin utilizza principalmente energia sostenibile”.

Lo stesso Batten ha poi indicato uno studio risalente al passato settembre, elaborato da Bloomberg Intelligence. Al suo interno si sostiene che il mining di Bitcoin è ormai in grado di garantire un mix energetico sostenibile del 52,6%. Un dato molto diverso da quello che Greenpeace USA ha usato per il suo report.

I legami tra Chris Larsen e Greenpeace USA

Proprio il modo di manipolare le fonti ha quindi fornito la base per le accuse che ben presto sono iniziate a volare in direzione dell’associazione ambientalista. Lo stesso Batten, peraltro, ha notato che Greenpeace USA è stata ampiamente sorpassata da altre organizzazioni analoghe, passate da una posizione critica all’aperto sostegno di BTC. Una svolta determinata da una maggiore conoscenza dei meccanismi su cui si basa il mining.

Da qui all’aperto attacco, il passo è stato molto breve. Ad incaricarsene è stato Yan Pritzker, co-fondatore di Swan. È stato lui ad affermare senza tanti infingimenti: “Il braccio anti-Bitcoin di Greenpeace è apertamente finanziato da Chris Larsen di Ripple e non è indipendente e imparziale”.

Una tesi rafforzata dal fatto che, nel marzo del 2022 Greenpeace USA e l’Environmental Working Group, sostenuti da Larsen, hanno lanciato una campagna da 5 milioni di dollari tesa a chiedere la modifica del codice di Bitcoin in modo da spingere la rete a consumare meno energia.