Vida Shahvalad si trovava in auto all’interno di un box di Secondigliano insieme al fidanzato Vincenzo Nocerino quando, lo scorso 15 marzo, le esalazioni di monossido di carbonio sprigionate dalla vettura accesa hanno ucciso entrambi. A trovarli, dando l’allarme, era stato il padre del giovane, che ora insieme a un amico di lei ha lanciato un appello affinché si aiuti la sua famiglia a rimpatriare la salma. Le autorità di Teheran si sarebbero infatti dette contrarie.

Le polemiche sul rimpatrio della salma di Vida Shahvalad, morta con il fidanzato a Napoli

Della vicenda si è parlato nel corso di una trasmissione radiofonica andata in onda su Radio Marte. Il conduttore Gianni Simioli, in compagnia del deputato di AVS Francesco Emilio Borrelli, ha raccolto in studio l’appello lanciato da Alfredo Nocerino e dall’amico di Vida Shahvalad, Ahmad Bahramzadeh, spiegando che la polizia morale iraniana si starebbe opposta al rimpatrio della salma della 20enne – negando ai suoi genitori i documenti necessari – dopo aver appreso da una tv locale la circostanza che lei e il fidanzato fossero seminudi in auto.

L’avrebbero bollata come “peccatrice”, come ragazza “dai facili costumi”. Ma “era vestita”, secondo il padre di Vicenzo, colui che la mattina del 16 marzo scorso li aveva trovati senza vita nell’auto del 24enne. Si erano da poco riappacificati dopo un litigio e, di ritorno da una serata di festa a Caserta, si erano appartati nel box auto di proprietà della famiglia Nocerino, a Secondigliano, tenendo acceso il motore per scaldarsi mentre parlavano.

Le esalazioni di monossido di carbonio sprigionate dalla vettura all’interno del garage, chiuso e senza aerazione, li avevano uccisi. “Erano stesi, lui sul sedile davanti, lei dietro. Sembrava dormissero”, ha raccontato Nocerino, che prima di chiamare i soccorsi avrebbe provato a scuoterli e a svegliarli. Si conoscevano da diverso tempo. “Vida era come una figlia per me“, ha detto, chiedendo alla stampa di fermare la fuga di notizie non verificate per evitare di infangarne la memoria e creare problemi alla sua famiglia.

Chi erano Vida Shahvalad e Vincenzo Nocerino

Originaria dell’Iran, Vida Shahvalad era arrivata in Italia per studiare informatica. Frequentava la Vanvitelli di Caserta, dove viveva; ma spesso si recava anche a Napoli. Aveva conosciuto Vincenzo Nocerino, di qualche anno più grande, già da un po’ di tempo.

Si volevano bene. Vincenzo, per tutti “Enzo”, lavorava come webdesigner, ma di tanto in tanto aiutava anche il padre, socio della pizzeria-trattoria “Partenope” del quartiere Fuorigrotta. La sua morte, la loro morte, ha lasciato attonita la comunità. “Sono morto dentro, ma devo andare avanti per mio figlio”, ha detto il padre del giovane.

Il 16 marzo mattina si era accorto che Vincenzo non era in casa e, preoccupato di non aver ricevuto sue notizie, era andato a cercarlo. Quando aveva aperto la saracinesca del garage che dista qualche metro dalla loro abitazione, aveva fatto la terribile scoperta.

Nei minuti successivi decine di persone erano accorse sul posto per capire cosa fosse successo dopo aver sentito le sue urla. “Credo che abbiano svegliato tutto il rione”, ha spiegato l’uomo, che ha detto di rivivere la stessa scena ogni notte.

È ciò che con tutta probabilità accade anche ai genitori del 18enne Francesco Pio Maimone, che un anno fu ucciso a colpi di pistola agli chalet di Mergellina dal coetaneo Francesco Pio Valda, attualmente imputato in un processo. “La vita per noi è finita”, ha riferito la madre Tina a Fanpage, mentre aspetta che la giustizia faccia il suo corso.