È ripreso oggi a Bologna il processo a carico di Giampaolo Amato, l’ex medico della Virtus accusato di aver ucciso la moglie Isabella Linsalata e la suocera Giulia Tateo con un mix di farmaci. La Corte, ritenendo “che il diritto di cronaca sia garantito ugualmente dalla presenza in aula dei giornalisti” ha detto “no” alle riprese e alle foto; poi ha ascoltato i primi testimoni.
L’imputato, che fin dall’inizio della vicenda si proclama innocente, ha scelto ancora una volta di essere presente. Nel corso della prima testimonianza ha potuto guardare, così, le foto del ritrovamento del corpo della moglie Isabella Linsalata, avvenuto attorno alle 12.30 del 31 ottobre 2021 nella loro abitazione. Si trovava sul letto, avvolto da un piumone.
Ho sollevato la coperta e non c’era alcun segno o traccia riconducibile ad attività delittuosa,
ha raccontato il maresciallo dei carabinieri che intervenne dopo i soccorritori del 118, che ha anche aggiunto di aver visto Amato avvicinarsi per accarezzare il corpo, spiegando di averlo allontanato per mantenere intatto lo stato dei luoghi.
Al processo a Giampaolo Amato la testimonianza di un’amica della moglie Isabella Linsalata
Poi la parola è passata a Monica Gaudioso, che ha escluso con fermezza la possibilità che l’amica possa essersi suicidata “anche solo per le sue idee religiose. Non c’era nulla che potesse far pensare a questo. Anche nei discorsi che faceva”, ha detto rispondendo alle domande del pm nel processo.
Le stesse idee religiose, secondo lei, potrebbero aver condizionato la scelta della donna di non denunciare il marito Giampaolo Amato dopo che nel 2019 si rese conto che probabilmente la “drogava” somministrandole delle benzodiazepine.
Pare che si fosse addormentata alla guida e che, preoccupata, si fosse sottoposta a degli esami, scoprendo un’altissima concentrazione ematica di farmaci. “Lei aveva in cuor suo, fino a un certo punto, la speranza che la situazione potesse mettersi a posto”, ha spiegato Gaudioso, con la quale la donna si era confidata.
Oltre ad essere una sua amica era anche il suo medico. “Aveva stanchezza e sonnolenza, non era normale”, ha detto ancora.
Isabella cominciò a capire che qualcosa nel suo fisico non andava, qualcosa di strano stava succedendo. Beveva le tisane alla sera e diceva ‘le sento amare, facciamo qualcosa’.
Da lì la decisione di approfondire la situazione e la scoperta scioccante, che aveva deciso di ignorare per il bene della famiglia. Sapeva già che il marito aveva un’altra relazione; per questo, da un po’, si erano “separati”, con lui che era andato a vivere al piano di sotto.
La ricostruzione dell’accusa
Secondo l’accusa, Amato uccise la 62enne e la suocera Giulia, di 87, per entrare in possesso della loro eredità e poter vivere in libertà insieme all’amante di trent’anni più giovane, che al pari dell’amica di Linsalata sarà sentita in aula.
Ma saranno sentiti anche i tecnici informatici che analizzarono i dati del suo smartwatch scoprendo che, a differenza di ciò che aveva sostenuto davanti agli inquirenti, la sera della morte della suocera (risalente a qualche settimana prima di quella della moglie) era salito da lei.
Ad incastrarlo, secondo l’accusa, sarebbero soprattutto le tracce di Midazolam rinvenute sul fondo di una bottiglia di vino che aveva offerto alla moglie, conservata a futura memoria dalla sorella Anna Maria, che sospettava che l’uomo la drogasse.
Dopo la morte di Linsalata aveva provato a farla cremare, ma la donna si era opposta, chiedendo che fosse sottoposta a un’autopsia. Dall’esito degli accertamenti era partito tutto. Amato sostiene di essere estraneo ai fatti. Nel processo a suo carico, oltre ai familiari delle vittime, si è costituita parte civile anche l’Ausl di Bologna, per la quale l’uomo lavorava: si pensa che abbia sottratto i medicinali usati per uccidere le due donne in ospedale.