La mattina del 16 marzo 1978 i cinque uomini della scorta dell’onorevole Aldo Moro furono trucidati da un gruppo di brigatisti all’incrocio tra via Fani e via Stresa, a Roma. Si chiamavano Domenico Ricci, Oreste Leonardi, Giulio Rivera, Francesco Zizzi e Raffaele Iozzino. Alla vigilia del 46esimo anniversario della strage, Cusano Italia Tv ha raccolto la preziosa testimonianza del figlio di uno di loro.

Le dichiarazioni di Giovanni Ricci alla vigilia del 46esimo anniversario della strage di via Fani, in cui morì il padre Domenico

Ospite della trasmissione televisiva “Crimini e criminologia”, Giovanni Ricci ha ripercorso i tragici momenti in cui il padre, che lavorava come autista per il presidente della Democrazia Cristiana, morì sotto gli oltre 90 colpi sparati da un gruppo di militanti delle BR in via Mario Fani.

Era la mattina del 16 marzo 1978. Domenico Ricci si trovava alla guida della Fiat 130 che aveva appena prelevato l’onorevole Aldo Moro dalla sua abitazione di via del Forte Trionfale per accompagnarlo a Montecitorio, dove avrebbe dovuto votare la fiducia al quarto governo Andreotti, quando i terroristi uccisero lui e gli altri uomini della scorta e rapirono il politico, che 55 giorni dopo sarebbe stato trovato morto nel bagagliaio di un’auto rossa in via Caetani.

Un agguato durato pochi minuti, che 46 anni dopo resta avvolto da numerosi dubbi e misteri. Non si sa, ad esempio, quanti e quali brigatisti vi abbiano partecipato al di là di quelli condannati, né se fossero coinvolte persone esterne al movimento. “La cosa che mi colpisce è come non sia stata fatta chiarezza sulla responsabilità politica del sequestro Moro”, ha dichiarato Ricci.

L’incontro con i brigatisti condannati per il sequestro di Aldo Moro

Intervistato dai giornalisti Fabio Camillacci e Gabriele Raho, Ricci ha poi parlato dei suoi incontri con i brigatisti incarcerati. “Conobbi Barbara Balzerani alla presentazione di un libro. Una donna rimasta ancorata a quell’ideologia; una donna che ancora credeva in quello che aveva fatto. Una donna che non mostrava alcun segno di pentimento, né di dissociazione”, ha dichiarato.

“Quando è morta (lo scorso 4 marzo, ndr) ho pregato per lei, ricordando, però, che non si è mai pentita, né dissociata: insomma, è sempre stata un’irriducibile. Altri ex brigatisti, come Adriana Faranda e Franco Bonisoli, al contrario hanno dato una svolta alla loro vita e dopo aver scontato la loro pena hanno fatto un percorso di riabilitazione, di giustizia riparativa, per arrivare ad assumersi la piena responsabilità delle loro azioni di fronte alle vittime. Tutto questo, purtroppo, in tanti altri ex BR come nella Balzerani è mancato”, ha aggiunto.

L’aiuto dell’Arma dei Carabinieri e l’assenza dello Stato

Poi Ricci ci ha tenuto ad elogiare la condotta tenuta dall’Arma dopo la strage, citando, per contro, l’assenza avvertita da parte dello Stato. “L’Arma dei Carabinieri ci è stata vicino da quel drammatico 16 marzo a oggi. Quello dell’Arma è stato ed è un supporto non solo alla famiglia Ricci, ma a tutte le famiglie dei caduti. Lo Stato invece è stato assente per anni, visto che la legislazione per le vittime del terrorismo e i propri familiari è arrivato solamente nel 2006. Lo Stato è stato sempre lontano dalle famiglie delle vittime”, le sue parole, che fanno eco a quelle pronunciate negli anni dalle altre persone che 46 anni fa in via Fani persero i propri cari.