Chi era don Giuseppe Diana, perché è stato ucciso e da chi? La sua storia ha ispirato la famosa fiction Rai dal titolo “Per amore del mio popolo” e nel corso dell’ultima Giornata della memoria e dell’impegno nel ricordo delle vittime della mafia è stata citata dal presidente Sergio Mattarella come esempio di coraggio.

Chi era don Giuseppe Diana

Nato a Casal di Principe, nel Casertano, il 4 luglio 1958, Giuseppe Diana, per tutti “Peppe o Peppino” fu ordinato sacerdote nel marzo 1982. Nel 1989 divenne il parroco della Chiesa di San Nicola di Bari del suo paese d’origine. Lì fu ucciso la mattina del 19 marzo del 1994, giorno del suo onomastico.

Dall’altare, oltre a predicare il Vangelo, aveva iniziato a condannare apertamente il clan camorristico dei Casalesi, che sul territorio, grazie alla figura di Francesco Schiavone, detto “Sandokan”, era riuscito in quegli anni ad infiltrarsi nei settori nevralgici dell’economia e della politica locali.

Non si trattava di sole parole: don Diana parlava con la gente, con i giovani soprattutto, invitandoli a non tacere, a ribellarsi, ma era anche attivo e aiutava i poveri, gli immigrati, perché aveva capito che “dove c’è mancanza di regole e di diritto” si afferma la sopraffazione. Si appellava ai mafiosi chiedendo loro di farsi da parte, li invitava a pentirsi, a cambiare strada.

Una lotta aperta, culminata, nel Natale del 1991, nella pubblicazione di una lettera dal titolo “Per amore del mio popolo”, scritta con altri sacerdoti del luogo per denunciare i traffici illeciti per la compravendita di sostanze stupefacenti della zona.

La Camorra oggi è una forma di terrorismo che incute paura, impone le sue leggi e tenta di
diventare componente endemica nella società campana,

recita il testo, diventato un vero e proprio testamento spirituale del sacerdote, eliminato in quanto “personaggio scomodo“.

Perché don Giuseppe Diana è stato ucciso e da chi

La mattina del 19 marzo 1994, il giorno di San Giuseppe, don Diana fu assassinato nella sacrestia della chiesa di San Nicola mentre si preparava a celebrare la santa messa: dei camorristi lo avvicinarono e gli spararono contro cinque proiettili, due alla testa, uno al volto, uno alla mano e uno al collo.

Il suo omicidio suscitò scalpore in tutta Italia e fu seguito da una serie di depistaggi: si cercò di far passare il messaggio che don Diana fosse, in realtà, un malvagio, che frequentasse prostitute e attirasse bambini, custodendo le armi che altri usavano per spargere sangue mentre fingeva di combattere i mafiosi.

Lo si accusò addirittura di essere lui stesso un camorrista. Le indagini dimostrarono che erano tutte falsità: nel 2003 fu condannato come mandante del suo omicidio Nunzio De Falco, detto “O’ Lupo”, storico volto dei Casalesi. Giuseppe Quadrano, Mario Santoro e Francesco Piacenti furono invece condannati come esecutori materiali: il primo a 14 anni perché collaboratore di giustizia, gli altri all’ergastolo.

Le iniziative in occasione del trentennale dell’omicidio

Negli anni a don Diana sono stati dedicati i progetti più disparati. Ad accomunarli è la volontà di costruire comunità alternative alla camorra, scopo che lui, per primo, ha portato avanti con la sua Chiesa prima del suo omicidio, di cui quest’anno ricorrono i trent’anni.

Per l’occasione a Casal di Principe il prossimo 19 marzo si terrà una messa commemorativa che culminerà in una marcia degli studenti fino al cimitero locale e si chiuderà con le parole di don Luigi Ciotti, fondatore di “Libera”. Poi ci sarà un incontro sul documento “Per amore del mio popolo” con i sacerdoti della Feronia. In tv sarà invece mandato in onda in anteprima il documentario realizzato da Tv2000 “L’altra parola di don Peppe Diana”.