È diventata definitiva la condanna per Azouz Marzouk, che nella strage di Erba perse il figlio Youssef, di due anni, la moglie Raffaella Castagna e la suocera Paola Galli: i giudici di Milano hanno giudicato inammissibile il ricorso da lui presentato contro la sentenza con cui in primo grado era stato riconosciuto colpevole del reato di diffamazione per aver puntato il ditro contro i cognati Beppe e Pietro Castagna, lasciando intendere che potessero essere loro gli autori degli omicidi.
Condannato in via definitiva per diffamazione Azouz Marzouk
L’uomo, di origini tunisine, era già stato condannato a due anni e mezzo di reclusione e a un risarcimento di 70 mila euro nei confronti delle parti offese, i fratelli della moglie Raffaella Castagna, contro cui, nel 2019, puntò il dito nel corso di un’intervista rilasciata a una testata online.
“Indagate sulla famiglia. Mio figlio Youssef conosceva l’assassino. Lo ha ucciso qualcuno vicino a mia moglie”, disse, lasciando intendere che nella strage consumatasi in via Armando Diaz, ad Erba, l’11 dicembre del 2006, potessero essere coinvolti Beppe e Pietro Castagna, che quindi lo avevano denunciato per diffamazione.
Ora la condanna in via definitiva, arrivata a pochi giorni dalla prima udienza in cui si è discussa a Brescia la possibile revisione del processo a carico dei due coniugi finiti all’ergastolo per il caso di pluriomicidio, Olindo Romano e Rosa Bazzi, che Azouz Marzouk ha sempre creduto innocenti.
Lo scorso primo marzo, arrivando in tribunale il tunisino aveva dichiarato alla stampa di pensare che sulla strage “non sia stata fatta giustizia”, parlando della revisione come di una sua “rivincita”. Parole che avevano scatenato la reazione di Beppe Castagna che, pur non essendo presente in aula, aveva fatto sapere attraverso l’Agi che l’uomo “ha sempre lottato per sé stesso” e non per la moglie e il figlio.
La ricostruzione della strage di Erba e del processo che ne è seguito
I fatti risalgono all’11 dicembre del 2006. Per la strage, costata la vita al piccolo Youssef Marzouk, alla madre Raffaella Castagna, alla nonna Paola Galli e alla vicina di casa Valeria Cherubini, accoltellata insieme al marito Mario Frigerio, che riuscì a sopravvivere grazie a una malformazione della carotide, sono stati condannati in via definitiva Olindo Romano e Rosa Bazzi, che risiedevano al piano sottostante a quello della famiglia Marzouk e che con la stessa avevano avuto dei dissapori.
Ad incastrarli, diverse prove: innanzitutto la traccia ematica trovata dalla scientifica sul battitacco dell’auto di Olindo, appartenente a Valeria Cherubini; poi la testimonianza del marito Mario Frigerio, che dopo aver trascorso diverse settimane in ospedale a causa delle lesioni riportate in seguito all’accoltellamento, sostenne di essere convinto di aver visto Olindo colpirlo.
Infine, la confessione dei due coniugi che, interrogati, pochi giorni dopo il loro arresto ammisero separatamente (senza aver avuto la possibilità di concordare una versione comune) le proprie responsabilità, raccontando nel dettaglio quanto accaduto la sera degli omicidi all’interno del condominio di via Diaz, salvo poi ritrattare e sostenere di essere stati spinti a parlare dagli inquirenti con la promessa che in cambio avrebbero potuto trascorrere insieme gli anni della detenzione.
Prove che hanno consentito ai giudici di riconoscere i due colpevoli, ma che la difesa ha sempre messo in dubbio, urlando all’innocenza dei condannati. La parola spetta ora ai giudici della Corte d’Appello di Brescia, che dopo aver ascoltato tutte le parti (il prossimo 16 aprile toccherà proprio ai difensori) dovranno decidere, dopo aver giudicato ammissibili le tre istanze di revisione del processo presentate negli scorsi mesi, se ammettere le “nuove prove” necessarie a tornare a vagliare la posizione dei Romano oppure confermare la decisione già presa.