Per chi progetta di rientrare nel mondo del lavoro o avviare un’attività dopo il pensionamento, sorgono spesso dubbi sulla possibilità di percepire la pensione contemporaneamente. La risposta, sebbene non universale, generalmente si orienta in senso positivo. Con l’entrata in vigore del decreto legge 112/2008, attualmente non esistono limiti al cumulo dei redditi con la pensione di vecchiaia, di anzianità o anticipata. Tuttavia, alcune restrizioni persistono, principalmente per le pensioni e gli assegni di invalidità, contingentati entro specifici limiti reddituali. Ecco una panoramica della situazione.
Quanto può guadagnare un pensionato oltre alla pensione?
Cumulo dei redditi da lavoro con la pensione di vecchiaia
Dal 1° gennaio 2009, i redditi derivanti da lavoro autonomo o dipendente sono interamente cumulabili con la pensione di vecchiaia, di anzianità e anticipata erogate tramite il sistema misto o retributivo (per gli assicurati con contribuzione al 31 dicembre 1995). Per le prestazioni basate sul sistema contributivo (per coloro entrati nel mondo del lavoro dopo il 31 dicembre 1995, contributivo puro), il cumulo della pensione con i redditi da lavoro è possibile a condizione che si verifichi almeno una delle seguenti condizioni:
- Età di almeno 60 anni per le donne o 65 anni per gli uomini.
- Almeno 40 anni di contribuzione.
- Almeno 35 anni di contributi e 61 anni di età (con riferimento all’articolo 19 del DL 112/08 e Circolare Inps 108/2008).
In gran parte dei casi, questi requisiti consentono la completa cumulabilità dei trattamenti pensionistici con i redditi derivanti dal lavoro, incluso per le prestazioni liquidate interamente con il sistema contributivo.
Cumulo dei redditi da lavoro con l’Opzione Donna
La questione del cumulo tra redditi da lavoro e pensione si complica ulteriormente quando si considera l’opzione donna. Mentre la normativa non fornisce indicazioni chiare in merito al cumulo per le donne che scelgono la pensione con il sistema contributivo a 58 anni di età e 35 anni di contributi, è essenziale notare che questa opzione non rientra nel regime contributivo puro previsto dalla Riforma Dini del 1995. Una lettura logico-sistematica della norma suggerirebbe quindi la cumulabilità con altri redditi da lavoro dipendente e autonomo.
Cumulo dei redditi da lavoro con Quota 100
Per quanto riguarda la pensione “Quota 100” (ora “Quota 102” nel 2022 e “Quota 103” nel 2023-2024), l’articolo 14, comma 3, del DL 4/2019 ha stabilito l’incumulabilità di questa prestazione con i redditi da lavoro dipendente o autonomo. Tuttavia, esiste un’eccezione per i redditi derivanti da lavoro autonomo occasionale, consentiti nel limite di 5.000 euro lordi annui (Circ. Inps 117/2019). Questa restrizione si applica fino al raggiungimento dell’età di 67 anni, comportando la sospensione dell’erogazione della pensione negli anni e nei mesi in cui si percepiscono tali redditi. I beneficiari della prestazione devono presentare una dichiarazione all’Inps attestando l’assenza di redditi che determinino la sospensione della prestazione, utilizzando il modello AP 140.
Cumulo dei redditi da lavoro con l’assegno ordinario di invalidità o pensioni di invalidità
Per i lavoratori dipendenti del settore privato e autonomi titolari dell’assegno ordinario di invalidità, è importante considerare le limitazioni al cumulo tra l’assegno e i redditi derivanti da attività lavorativa. Dal 1995, se il reddito ottenuto da queste attività supera soglie specifiche, l’importo dell’assegno viene ridotto. Questa riduzione è del 25% se il reddito supera 4 volte l’importo del trattamento minimo annuo e del 50% se supera 5 volte tale importo.
Una seconda riduzione si applica qualora l’anzianità contributiva sulla base della quale è stato calcolato l’assegno sia inferiore a 40 anni di contributi. Il taglio aggiuntivo varia a seconda che il reddito provenga da lavoro dipendente o autonomo. Nel primo caso, è del 50% della quota eccedente il trattamento minimo, mentre nel secondo caso è del 30%. Tuttavia, la riduzione non può superare il reddito stesso.
Cumulo dei redditi da lavoro con altre pensioni di invalidità
Per altre forme di invalidità, riconosciute da fondi sostitutivi o gestioni specifiche, le restrizioni al cumulo sono legate alla seconda riduzione, applicabile solo in presenza di meno di 40 anni di contributi. Le trattenute vengono effettuate sulla retribuzione da parte del datore di lavoro se il pensionato svolge un’attività lavorativa subordinata. Se si tratta di arretrati di pensione, l’ente previdenziale effettua la trattenuta in caso di tardiva liquidazione della prestazione. Se il pensionato svolge attività lavorativa autonoma, la trattenuta viene effettuata direttamente sull’assegno pensionistico, previa comunicazione all’ente dei redditi annui percepiti.
Cumulo dei redditi da lavoro con la pensione di inabilità
Il cumulo di redditi da lavoro con la pensione varia a seconda del tipo di prestazione previdenziale. Nel caso della pensione di inabilità riconosciuta secondo la legge 335/1995, chi ne è titolare non può svolgere alcuna attività lavorativa, né dipendente né autonoma. Questa pensione è concessa in situazioni di assoluta impossibilità di prestare attività lavorativa, comportando l’obbligo di cancellazione da elenchi, albi o ordini relativi a mestieri, arti o professioni.
Cumulo dei redditi da lavoro con la pensione ai superstiti
Per quanto riguarda la pensione ai superstiti, l’esercizio di un’attività lavorativa può causare riduzioni dell’importo originario della pensione. Se il reddito annuo derivante dall’attività si situa tra tre e quattro volte l’importo del minimo Inps, la percentuale della pensione si riduce del 25%. Se il reddito supera quattro volte il minimo, la riduzione è del 40%, mentre se supera cinque volte il trattamento minimo Inps, la pensione subisce una riduzione del 50%. Queste riduzioni interessano principalmente il coniuge superstite che riceve la pensione di reversibilità o la pensione indiretta mentre continua a lavorare o possiede altri redditi. Tuttavia, va notato che non si applicano se, oltre al coniuge, ci sono altri titolari della prestazione appartenenti al medesimo nucleo familiare, come figli minori, studenti o inabili maggiorenni.