Quando si affronta il tema delle pensioni, molti coniugi si interrogano su un possibile impatto: la pensione richiesta dal marito può influire sull’importo della pensione della moglie? La risposta, basandosi sul calcolo effettuato considerando i contributi versati da ciascun membro del nucleo familiare, è un chiaro no.
Pensione minima cumulabile con quella del coniuge
Immaginiamo una coppia in cui l’uomo riceve una pensione mensile di 1.500 euro dopo 43 anni di contributi, mentre la moglie, dopo 20 anni di contributi, decide di richiedere la pensione. La domanda sorge spontanea: la pensione della moglie ridurrà l’importo del trattamento previdenziale riconosciuto al marito? La risposta è categoricamente negativa.
Le pensioni, calcolate in base ai contributi versati e all’età di accesso, non sono influenzate da redditi personali, né tantomeno dai redditi familiari o coniugali. Va sottolineato che chi riceve la pensione ha la possibilità di continuare a lavorare, percependo un reddito aggiuntivo a quello della pensione stessa.
Quindi, quando la moglie della nostra coppia esemplificativa richiederà la pensione dopo 20 anni di contributi, la pensione del marito rimarrà invariata, senza alcuna decurtazione. Il motivo è semplice: l’assegno mensile è strettamente legato a quanto è stato versato durante l’intera carriera lavorativa. Una volta che entrambi avranno ottenuto la pensione, godranno dell’importo complessivo senza alcuna riduzione.
Come funziona l’integrazione al trattamento minimo?
In presenza di specifiche condizioni di reddito, le pensioni assegnate attraverso il sistema pensionistico retributivo o misto (con la prima contribuzione antecedente al 1° gennaio 1996) possono essere integrate al trattamento minimo quando il loro importo risulta inferiore alla pensione minima fissata dalla legge.
Per verificare se si soddisfano le condizioni di reddito necessarie e determinare l’accesso al trattamento minimo, è essenziale prendere in considerazione solo i redditi soggetti a imposta sulle persone fisiche (IRPEF). Pertanto, non devono essere inclusi i seguenti redditi:
- L’importo della pensione da integrare;
- Il reddito della casa di residenza;
- I trattamenti di fine rapporto;
- I redditi derivanti da competenze arretrate soggette a tassazione separata solo per le pensioni con decorrenza dal 1° febbraio 1994.
La valutazione del diritto all’integrazione al trattamento minimo prevede inizialmente l’analisi dei redditi del titolare della pensione rispetto al limite individuale. Se il pensionato è sposato e il totale dei redditi dei coniugi non supera il limite individuale, si considera anche tale situazione.
Per l’anno 2023, l’importo del trattamento minimo è stabilito a 563,74 euro, ossia con un incremento di 38 euro rispetto al 2022. Questo aumento è dovuto all’incremento dell’inflazione e alla rivalutazione degli importi applicata da gennaio sulle pensioni e su altre prestazioni economiche. La legge di bilancio 2023 ha introdotto anche un bonus del 6,4% per i pensionati di età pari o superiore a 75 anni, portando la pensione minima a 600 euro nel 2023.
Va notato che l’INPS ha iniziato a calcolare gli aumenti della pensione minima a giugno 2023 e ha iniziato a erogarli a luglio. Gli importi aggiornati dovrebbero essere già visibili sui cedolini delle pensioni. A coloro in attesa degli arretrati della pensione di giugno dovrebbe essere anche accreditato il saldo delle mensilità non corrisposte fino a quel momento. Di seguito è riportata la tabella con i limiti di reddito per il diritto all’integrazione al trattamento minimo.