Dovrà andare a processo Wolfgang Rieke, il camionista tedesco che il 30 novembre 2022 investì e uccise il ciclista Davide Rebellin a Montebello Vicentino. Lo ha deciso il tribunale di Vicenza, che ha respinto l’accordo di patteggiamento presentato dai suoi legali, che prevedeva una pena di 3 anni e 11 mesi per il 63enne.

Respinta la richiesta di patteggiamento per il camionista che investì Davide Rebellin

Dopo quello avvenuto in udienza preliminare, quello odierno è il secondo rigetto per Wolfgang Rieke. Allora i suoi legali, Enrico Ambrosetti e Andrea Nardin, avevano chiesto di condannarlo a 2 anni e 11 mesi. Questa volta la richiesta era di 3 anni e 11 mesi, ma i giudici del tribunale di Vicenza l’hanno comunque ritenuta “troppo lieve” in relazione a quanto accaduto e ai precedenti del 63enne, che prima di finire agli arresti domiciliari per aver investito il ciclista aveva già provocato altri incidenti, venendo fermato alla guida in stato di ebrezza.

Per l’uomo, accusato di omicidio stradale e omissione di soccorso, si aprirà ora il processo vero e proprio. Lo scorso agosto era stato estradato in Italia dalla Germania, dove si era costituito, ammettendo le proprie responsabilità, diversi mesi dopo i fatti. Stando a quanto ricostruito grazie all’analisi delle telecamere di videosorveglianza installate lungo il tratto di strada interessato dal sinistro, avrebbe travolto Davide Rebellin all’altezza di una rotatoria, dopo aver svoltato senza inserire la freccia e averlo affiancato.

Poi si sarebbe fermato e sarebbe sceso dal mezzo pesante, avvicinandosi – come si legge nelle carte dell’inchiesta – “ai resti della bicicletta e alla salma” per poi tentare di cancellare le prove (i segni della collisione con il ciclista e le tracce del suo sangue) strofinando una mano sul paraurti e allontanarsi a velocità sostenuta fino al suo Paese d’origine, dove avrebbe lavato i residui della motrice con un detergente concentrato.

Le accuse mosse contro il camionista

Inizialmente la Procura aveva ipotizzato che avesse agito con lo scopo di ingannare gli inquirenti, valutando di iscriverlo nel registro degli indagati anche con l’accusa di frode processuale. Poi si era stabilito che avesse eliminato le prove solo per proteggersi e sfuggire alla condanna.

Lo scorso dicembre Carlo Rebellin aveva commentato positivamente la notizia del rigetto della prima richiesta di pattegiamento, augurandosi per lui “una condanna più pesante ed equa”. Fin dall’inizio della vicenda si batte affinché il fratello ottenga la giustizia che merita.

Il giorno dell’incidente mortale avrebbe dovuto allenarsi con lui, ma all’ultimo minuto era stato costretto a tirarsi indietro a causa di un imprevisto. Qualche ora dopo il messaggio di un amico lo aveva informato di un ciclista investito a poca distanza dal luogo in cui Rebellin viveva e lui, preoccupato, si era messo in contatto con i carabinieri, che gli avevano dato la terribile notizia.

Era stato tra i primi ad arrivare sul posto, riconoscendo il corpo martoriato del ciclista. Più tardi aveva detto: “Se n’è andato facendo quello che più amava”. Lo stesso è stato detto quando, pochi giorni fa, il 35enne Andrea Bergamelli è morto in un tragico incidente mentre correva in pista a Valencia: era un motociclista. Sui circuiti era cresciuto; sui circuiti aveva conosciuto la sua compagna di vita; sui circuiti alla fine, per un tragico scherzo del destino, ha perso anche la vita, come Rebellin, che alle due ruote aveva dedicato la sua intera vita e che proprio in sella alle due ruote alla fine è spirato.