In pensione 12 mesi più tardi, ecco quando ritardare l’uscita serve per ottenere un assegno più alto. Si insegue continuamente l’illusione di ricevere una pensione sufficiente a garantire un tenore di vita medio. Tuttavia, facendo i conti per la pensione, basta poche ore per capire che ritardare l’uscita, quando possibile, potrebbe essere vantaggioso. Esaminiamo insieme l’opzione ragionata per aumentare l’assegno INPS.

In pensione 12 mesi più tardi

 C’è almeno una buona notizia che spinge il lavoratore a ritardare l’uscita pensionabile fissata per i 67 anni di età e a rimanere fino a 71 anni, e non riguarda solo l’aumento della rendita mensile.

Innanzitutto, ricordiamo che il trattenimento in servizio è un istituto che consente ai lavoratori di ritardare l’uscita per la pensione, rimanendo sul posto di lavoro per un periodo successivo al compimento dei 67 anni di età previsti per la pensione di vecchiaia, a condizione che venga soddisfatto il requisito contributivo al raggiungimento dei 71 anni di età.

Questo perché, alla base, rimanere sul posto di lavoro oltre il limite d’età ordinamentale (o oltre l’età prevista per il trattamento di vecchiaia) viene concesso solo al fine di maturare i requisiti contributivi minimi pari a 20 anni di contributi (per la pensione di vecchiaia). Vediamo insieme quanto si ottiene ritardando l’uscita dal lavoro.

In pensione a 68 anni di età: quanto si prende?

L’importo della pensione viene determinato attraverso il sistema contributivo, retributivo e misto. Il calcolo della pensione non è complesso, specialmente nel caso del sistema contributivo. In questo caso, gli anni di contribuzione maturata sono determinanti, a cui si applica il coefficiente di trasformazione legato all’età del richiedente.

Ad esempio, un lavoratore con 23 anni di versamenti contributivi genera un montante contributivo di almeno 320.000 euro, considerando che 303.600 euro è il risultato dell’importo totale della retribuzione, pari a 40.000 euro per 23 anni di attività lavorativa.

Andando in pensione al raggiungimento dell’età pensionabile, ovvero a 67 anni di età, la rendita pensionabile mensile risulterebbe pari a circa 18.314 euro all’anno, per un assegno INPS di circa 1.400 euro lordi per 13 mensilità.

È necessario considerare che l’aliquota contributiva corrisponde al 33 percento, mentre per l’uscita a 67 anni di età viene applicato un coefficiente di trasformazione pari al 5,723 percento.

Quale pensione oltre i 67 anni di età?

Posticipando l’uscita oltre i 67 anni di età, si incrementa lo stipendio e il montante contributivo. Supponiamo che l’uscita dal lavoro venga posticipata di 12 mesi; pertanto, il lavoratore andrebbe in pensione non a 67 anni, ma a 68 anni di età.

In questo caso, lo stipendio percepito risulterebbe di circa 40.000 euro, mentre il montante contributivo verrebbe incrementato di altri 13.200 euro. Alla luce di questa considerazione, l’accumulo contributivo passerebbe da 320.000 a circa 340.000 euro.

Inoltre, andando in pensione a 68 anni, verrebbe applicato un diverso coefficiente di trasformazione, passando da 5,723 percento (67 anni) a 5,931 percento (68 anni).

Pertanto, l’importo totale della pensione passerebbe da 18.314 euro a 20.165 euro all’anno. La rendita mensile aumenterebbe da 1.400 a 1.550 euro al mese per 13 mensilità.

In sostanza, incrementando l’accumulo contributivo di oltre 40.000 euro, si aumenta notevolmente l’importo della pensione spettante.

In conclusione, ritardare l’uscita pensionabile di un lavoratore di 12 mesi può portare significativi vantaggi economici. Nel caso di un contribuente con 23 anni di versamenti, questo aumento potrebbe tradursi in un incremento dell’assegno INPS da circa 1.400 a 1.550 euro al mese. Posticipare l’uscita permette di accumulare contributi aggiuntivi e di beneficiare di un coefficiente di trasformazione più favorevole, aumentando così l’importo totale della pensione.