Uscito nelle sale italiane lo scorso 29 febbraio “Caracas” è il nuovo film di Marco d’Amore che ha diretto un dramma struggente tra le strade di una Napoli violenta, che ricorda quasi l’inferno di Dante. Traendo ispirazione dal romanzo “Napoli Ferrovia” di Ermanno Rea il regista ci racconta della passione tormentata tra Yasmina e Caracas e di uno scrittore di successo, che ritorna nella sua vecchia città per ritrovare se stesso e la capacità di scrivere.

“Caracas”, recensione

Napoli ha un’anima nera, tra le strade dei vicoli di una città distrutta si consuma una guerra tra disgraziati che come randagi hanno imparato a resistere in un universo di anarchia e malvagità.
Tra i rumori assordanti di urla violente, di pianti disperati, di corpi che cadono esanimi, puoi trovarci una poesia malinconica che si fa spazio in un inferno di dolore trovando il suo fascino nella decadenza e in un rovinoso declino col quale si impara a convivere in fretta.
È un territorio che sadico ti schiaffeggia con violenza, ti percuote per mostrarti, senza alcuna compassione, fino a che punto la vita può essere malvagia.

Napoli t’inghiotte, risucchiandoti in un vortice dal quale difficilmente si esce vivi.
Ma se superi quel confine di angoscia che separa due mondi paralleli, puoi perderti nella bellezza selvaggia di chi tiene duro per sopravvivere nella miseria, nella magia di chi ti tende una mano per aiutarti senza fare domande, della generosità fra poveri, di volti vissuti, di sorrisi splendenti su bocche sdentate, nel vedere bambini giocare a fare gli adulti stringendo delle armi, ma ai quali basta una carezza per tornare piccoli in un attimo.

In questo scenario altalenante di brutalità e misericordia c’è un’oscurità cupa che non trova pace:
un gruppo di nostalgici del fascismo si abbatte, come l’ira di Dio, sulla comunità islamica.
In mezzo a loro c’è Caracas (Marco d’Amore), un ragazzo orfano, senza origini ne passato, che nell’estrema destra ha scoperto un’identità.

Ma Caracas ha il cuore grande e la coscienza inquieta che non gli permettono più di restare in quella realtà di crudele bestialità.
Cerca la sua redenzione convertendosi all’islamismo ed è così che conosce Yasmina (Lina Camélia Lumbroso), di cui si innamora istantaneamente non riuscendo a reprimere una bruciante e insaziabile voglia di carne e calore.

È in tutto questo che in una notte tormentata, silenziosamente, un uomo rientra nella sua vecchia città: si chiama Giordano Fonte (Toni Servillo), è un acclamato scrittore che tanti anni prima è andato via scappando dalle sue radici senza guardarsi più indietro.
È tornato per annunciare che smetterà di scrivere, ma lui e Caracas si scontreranno per caso e le loro esistenze cominceranno rapidamente a mescolarsi.

Quest’amicizia partorita nella rabbia e nella paura si evolverà, creando uno strano legame indissolubile.
Ma Caracas e Yasmina, la Napoli che riscopre il perdono nelle risate fragorose dei ragazzini che corrono in moto senza casco, esisteranno davvero o saranno frutto della fantasia e della mente turbata di uno scrittore che sta perdendo velocemente prontezza di sé?

“Caracas”, critica

Marco D’Amore, coprotagonista e regista, porta al cinema “Caracas” un film che parla un linguaggio crudo e aulico al tempo stesso, che unisce perdizione e grazia, che ti fa innamorare prendendoti a schiaffi.
Ispirato al romanzo “Napoli Ferrovia” di Ermanno Rea, questa è una pellicola che si contraddistingue per le tonalità scure che tramite quei colori spenti è come se ti mostrasse la faccia più buia della rassegnazione e dell’abbandono di una terra dimenticata da Dio.
Ma dopo averti metaforicamente messo una mano sulla bocca per non lasciarti respirare, ti regala una boccata d’aria fresca facendoti sognare con un amore tanto tormentato quanto commovente.

Toni Servillo, nella parte del personaggio principale di questa storia, porta in scena una delle sue migliori interpretazioni di sempre ed è di una bravura magistralmente spettacolare.
Ma benché la regia di questo dramma sia di altissimo livello, quantomeno nell’esecuzione, nel secondo tempo si perde nella confusione di una narrazione imprecisa.
Improvvisamente ti senti smarrito davanti a delle scene che si intervallano tra visioni oniriche e deliri del protagonista.
Destabilizza, lasciandoti con una lunga serie di dubbi e quesiti su cosa sarà vero e cosa no.

Bello, ma migliorabile.