L’epatite autoimmune è una condizione in cui il sistema immunitario attacca erroneamente le cellule del fegato, causando infiammazione e danni.

Questa patologia può manifestarsi con una serie di sintomi, tra cui affaticamento, ittero, dolore addominale, nausea e perdita di peso.

Una volta diagnosticata, le opzioni terapeutiche possono includere farmaci immunosoppressori per ridurre l’infiammazione e proteggere il fegato, oltre a terapie per gestire i sintomi.

Scendiamo nei dettagli e vediamo quali sono i sintomi e le cure per l’epatite autoimmune.

Cos’è l’epatite autoimmune

L’epatite autoimmune è una condizione in cui il sistema immunitario attacca erroneamente il fegato, producendo anticorpi contro le sue stesse cellule.

Questo tipo di malattia fa parte delle patologie autoimmuni, in cui il corpo combatte le sue strutture anziché difendersi da agenti esterni.

Questi auto-anticorpi danneggiano il tessuto epatico, causando infiammazione e, nel tempo, la distruzione delle cellule del fegato.

L’epatite autoimmune può essere cronica e, in alcuni casi, può manifestarsi in modo acuto. Colpisce generalmente persone di diverse fasce d’età, con una maggiore incidenza tra i 20 e i 50 anni.

L’epatite autoimmune è considerata una condizione rara. In Italia ci sono circa 15-25 casi ogni 100.000 abitanti.

Quali sono i sintomi dell’epatite autoimmune

I sintomi dell’epatite autoimmune possono variare da persona a persona.

Nella forma acuta della malattia, si possono manifestare sintomi di infiammazione improvvisa del fegato, come:

  • febbre;
  • nausea;
  • vomito;
  • dolore addominale nella parte superiore
  • ingiallimento della pelle e degli occhi (ittero).

In alcuni casi rari, l’epatite autoimmune può progredire rapidamente con gravi complicazioni, come l’insufficienza epatica acuta.

Nella maggior parte dei casi, l’epatite autoimmune si presenta in forma cronica, con sintomi che si sviluppano gradualmente nel tempo.

Questi possono includere:

  • stanchezza;
  • mancanza di appetito;
  • perdita di peso;
  • dolore addominale;
  • febbre;
  • dolori articolari;
  • feci chiare e urina scura.

Spesso, la malattia porta alla cirrosi epatica se non trattata adeguatamente.

Come si diagnostica l’epatite autoimmune

La diagnosi dell’epatite autoimmune non è semplice: almeno non esiste un test diagnostico specifico.

Si tratta invece di una diagnosi di esclusione: solo quando il medico ha escluso le altre possibili cause dei sintomi (come ad esempio una malattia virale) può effettuare una diagnosi di “epatite autoimmune”.

Quanti tipi di epatite autoimmune esistono

L’epatite autoimmune si presenta in tre varianti distinte, ciascuna caratterizzata dalla presenza di specifici autoanticorpi nel sangue:

  1. Epatite autoimmune di tipo 1 (AIH1): è la forma più comune di epatite autoimmune. Le persone colpite mostrano la presenza di anticorpi antinucleari (ANA) e anticorpi contro le fibre muscolari lisce (anti-SMA). Talvolta possono essere presenti anche anticorpi contro i granulociti neutrofili, noti come p-ANCA.
  2. Epatite autoimmune di tipo 2 (AIH2): colpisce circa uno su dieci pazienti affetti da epatite autoimmune. È caratterizzata dalla presenza di anticorpi contro i microsomi fegato-renali (anti-LKM1), oltre ad altri autoanticorpi come anti-LC1 e anti-LKM3.
  3. Epatite autoimmune di tipo 3 (AIH3): in questa variante, sono presenti solo anticorpi contro antigeni epatici solubili/pancreatici (anti-SLA/LP) nel sangue dei pazienti.

Come si cura l’epatite autoimmune

Il trattamento dell’epatite autoimmune mira a sopprimere l’attività del sistema immunitario, responsabile dell’infiammazione e del danneggiamento del fegato. Sebbene la causa esatta della malattia non sia ancora nota, i farmaci immunosoppressori sono utilizzati per gestire i sintomi e prevenire danni ulteriori all’organo.

Nella maggior parte dei casi, la terapia inizia con l’uso combinato di azatioprina e prednisolone, un corticosteroide. Questi farmaci aiutano a ridurre l’infiammazione e a rallentare la progressione della malattia. La dose di prednisolone viene ridotta gradualmente nel corso di diversi mesi per evitare effetti collaterali.

Nei pazienti che non tollerano il prednisolone, può essere prescritto il principio attivo budesonide in combinazione con azatioprina. Se necessario, possono essere utilizzati altri immunosoppressori come ciclosporina, tacrolimus o micofenolato mofetile.

Il trattamento a lungo termine con farmaci immunosoppressori è essenziale per mantenere la remissione dei sintomi. I pazienti devono essere monitorati regolarmente dal medico per valutare la risposta alla terapia e prevenire complicazioni.

È importante anche adottare una dieta ricca di calcio e vitamina D per prevenire l’osteoporosi, un possibile effetto collaterale del trattamento a lungo termine con corticosteroidi.

La durata della terapia dipende dalla risposta individuale del paziente e può essere necessario continuare il trattamento per molti anni per mantenere la remissione della malattia.

Tuttavia, la possibilità di interrompere gradualmente l’assunzione dei farmaci può essere considerata in alcuni casi, sotto stretta supervisione medica, anche se il rischio di ricaduta è sempre presente.

Attualmente non esiste una cura definitiva per l’epatite autoimmune, ma la malattia può risolversi spontaneamente in alcuni casi.

Nella maggior parte dei pazienti è necessario un trattamento a vita con farmaci immunosoppressori per controllare i sintomi e prevenire danni al fegato.

Non trattata, l’epatite autoimmune può portare a gravi complicazioni e persino alla morte.

In alcuni casi, se la risposta ai farmaci immunosoppressori è scarsa, la malattia può progredire verso la cirrosi epatica, con il rischio di insufficienza epatica e morte.