La recente inchiesta che ha coinvolto alcuni giornalisti, il sostituto procuratore antimafia Antonio Laudati e il finanziere Pasquale Striano ha portato in primo piano il reato di Dossieraggio, ma cos’è questo termine e quali sono le pene previste dalla legge italiana?
Per capire cosa implichi la pratica dossieraggio occorre analizzare il termine francese “dossier” da cui deriva.
Tale vocabolo ha origini che risalgono al Seicento ma è solo all’inizio del Novecento che fa il suo avvento in Italia. Indica una raccolta di documenti riguardanti una singola persona o relativi ad un determinato argomento. L’etimologia deriva dalla parola “dos” ovvero “dorso”, cioè la costola del fascicolo in cui vengono raccolte queste informazioni.
Dossieraggio invece nasce solo in epoca più recente. All’inizio degli anni Novanta la parola va a racchiudere un insieme di attività volte al recupero e alla raccolta di dati e di informazioni in maniera non regolare.
Più nello specifico si tratta dell’acquisizione illecita di elementi personali riferiti a soggetti fisici o società. Spesso la pratica può colpire personaggi noti nell’ambito politico, economico o giuridico con l’obiettivo di ricatto o di screditamento.
Quindi ciò che è fondamentale non è tanto il fascicolo delle informazioni in sé ma la modalità con la quale esse sono apprese e la correttezza di utilizzo.
Cos’è il dossieraggio: l’inchiesta della Procura di Perugia
Per quanto concerne il caso su cui la Procura di Perugia sta indagando, sembra che i soggetti coinvolti abbiano eseguito centinaia di accessi senza alcuna autorizzazione alle banche dati della procura italiana di antimafia.
Il reato contestato è dunque la violazione della privacy nonché la condotta illegale della procedura di raccolta delle informazioni.
L’indagine è partita in seguito alla segnalazione da parte dell’attuale Ministro della Difesa, Guido Crosetto, che nei giorni scorsi ha denunciato come la pubblicazione di informazioni legate alla sua precedente attività professionale potessero essere frutto di una possibile irregolare attività.
L’inchiesta, guidata dal procuratore Raffaele Cantone, si è così presto allargata fino a comprendere diverse figure, tra cui funzionari di spicco.
L’obiettivo non è solo verificare la correttezza della procedura di acquisizione dei dati ma anche come queste informazioni siano state utilizzate e trattate.
Le informazioni sarebbero in parte state cedute agli organi di stampa, in modo da far trapelare opportunamente alcuni eventi e di conseguenza screditare i soggetti coinvolti agli occhi dell’opinione pubblica.
La pena prevista dalla legge
La pratica di dossieraggio è una palese violazione della privacy e come tale è direttamente legato a quanto previsto nell’art. 615 ter del Codice Penale. Tale capoverso indica come la pena per chiunque si introduca in maniera abusiva all’interno di un sistema informatico protetto da misure di sicurezza possa arrivare fino a tre anni di reclusione.
Il periodo della pena sale a cinque anni qualora il reato sia commesso da un pubblico ufficiale.
Ad esso sono poi associati i possibili reati in relazione all’utilizzo dei dati raccolti. Nel caso si passi a ricattare il soggetto per non divulgare le informazioni compromettenti a suo carico la legge prevede, grazie all’articolo 629 del Codice Penale, alla reclusione da cinque a dieci anni e una sanzione variabile da minimo 1.000 euro ad un massimo di 4.000 euro.
Più delicata la situazione dello screditamento. In questo caso la condotta è paragonabile alla diffamazione ed è regolata dall’art. 595 del Codice Penale. Offendere la reputazione altrui è punibile con l’arresto fino ad un anno di reclusione oltre ad una modesta sanzione.
La pena sale a massimo tre anni qualora il reato venga perpetrato a mezzo stampa. Quando però la persona vittima della diffamazione è un personaggio politico, amministrativo o giudiziario la pena può essere ulteriormente inasprita.