“Solo la verità”. Queste le parole apparse su uno striscione mostrato ieri, 3 marzo, da alcuni dei presenti alla fiaccolata commemorativa tenutasi a Fasano, nel Brindisino, per Patrizia Nettis, la giornalista trovata morta impiccata lo scorso 29 giugno all’interno della sua abitazione. A otto mesi dai fatti sono ancora molti, in effetti, gli interrogativi che ruotano attorno alla vicenda. I familiari della 41enne non credono alla tesi del suicidio e di recente hanno chiesto l’avocazione delle indagini sul caso alla Procura di Lecce. Abbiamo parlato delle motivazioni che li hanno spinti a farlo con l’avvocato Giuseppe Castellaneta, che li assiste.
Patrizia Nettis morta a Fasano, è ancora giallo: l’intervista all’avvocato Castellaneta
La richiesta di avocazione delle indagini
Avvocato, di recente avete chiesto l’avocazione delle indagini riguardanti la morte di Patrizia alla Procura di Lecce. Finora, ricordiamolo, se ne è occupata quella di Brindisi. Perché questa decisione?
“Fermo restando che abbiamo fiducia nella magistratura, ci siamo resi conto che i primi passi – quelli svolti nelle prime 48, 72 ore – sono stati assolutamente superficiali. Non sono stati eseguiti rilievi scientifici all’interno dell’abitazione di Patrizia, che non è stata neanche in alcun modo sottoposta a sequestro; non ci sono stati riscontri sull’abbigliamento indossato dalla stessa al momento del ritrovamento del corpo. Addirittura il lenzuolo che avrebbe usato per impiccarsi non è stato sequestrato e analizzato”.
“Non sappiamo neanche se sia stato fotografato, perché il materiale fotografico acquisito sul luogo del fatto è ancora sottoposto a segreto istruttorio ed è quindi nelle mani degli inquirenti. Questo per quanto riguarda i primi atti che andavano fatti sul luogo in cui veniva rinvenuto il corpo di Patrizia; poi non è stata disposta l’autopsia, non è stato disposta alcuna ispezione cadaverica scientifica. Allo stesso tempo però è stato sequestrato il telefonino (cosa che stride, visto che si pensava che fosse un ‘semplice’ caso di suicidio). Mi sarei aspettato, alla pari, anche tutti gli altri mezzi di indagine”.
Gli accertamenti condotti finora
Secondo Lei perché ci si è concentrati proprio sul telefonino?
“È la domanda che mi faccio anche io. Non capisco per quale motivo il 29 giugno, quindi diciotto giorni prima dell’iscrizione nel registro degli indagati di un nominativo, il telefonino di Patrizia sia stato comunque sottoposto a sequestro, venendo trattenuto in Procura per un mese per poi essere consegnato al consulente della Procura disabilitato. In un mese di tempo gli inquirenti hanno provato, probabilmente senza un approccio scientifico certificato, ad accedere al telefono, rendendolo inaccessibile, perché questo ci descrive l’ingegnere Sergio Civino nella sua relazione”.
“A causa di questa ‘leggerezza’ investigativa abbiamo perso una serie di dati che probabilmente ci avrebbero consentito di definire la vicenda. Proprio questo, messo insieme a una mancata risposta, da parte della Procura, alle tre istanze con cui abbiamo chiesto la riesumazione della salma e l’esame autoptico, e alle due con cui abbiamo chiesto la restituzione ai familiari del telefono di Patrizia, del suo orologio e del suo computer (interamente fotografati e copiati nei loro dati) – rigettate con la precisa motivazione che tali dispositivi vengono ancora ritenuti utili per le indagini – ci ha portato a chiedere l’avocazione”.
Tra l’altro il computer fu ritrovato in circostanze strane, nell’ufficio del Comune dove Patrizia lavorava e non nella sua abitazione (dove tutti si aspettavano che fosse)…
“Le circostanze del ritrovamento del computer sono state oggetto di attenzione da parte nostra. Anche questa è una questione che ha creato non pochi sospetti sulla vicenda. Ci tengo a dire che questi sospetti non sono indirizzati verso nessuno, però ciò che notiamo è un continuo addensarsi di nubi su una vicenda che avrebbe dovuto essere sbrigata in pochi mesi. A otto mesi dal fatto non abbiamo ancora la possibilità di vedere la luce in fondo al tunnel”.
L’uomo indagato e i dubbi sul suicidio
Al momento però c’è un indagato per stalking e istigazione al suicidio…
“Pare che sia iscritto nel registro dal 17 di luglio scorso. Si tratta di un imprenditore con il quale Patrizia in passato aveva avuto una relazione”.
E si dice che fosse con lei la sera della sua morte insieme a un secondo uomo, giusto?
“Sono le ricostruzioni fatte sulla base di una chat che è stata rinvenuta attraverso la copia forense del telefono dell’indagato, e uscita fuori dai canali investigativi di Mediaset, che l’ha pubblicata. Ricostruzioni che appunto si riferiscono alle ore notturne in cui si è svolto il dramma. Vede, noi abbiamo dei riscontri molto chiari sul fatto che lo stato d’animo di Patrizia fosse di assoluta serenità fino a pochi minuti prima della morte”.
L’ipotesi quindi è che sia successo qualcosa di cruciale mentre si trovava con questi due uomini, che possa essere stata istigata a togliersi la vita…
“Tra le varie ipotesi c’è anche questa, sì, ma credo che nessuno possa affermare con serenità di sapere cosa sia accaduto quella sera, perché purtroppo mancano molti dati. Mancano perché, come dicevamo, non sono stati acquisiti nelle prime ore dopo il ritrovamento del corpo. La speranza è che la Procura di Lecce possa farsi carico delle indagini e che si proceda con i dovuti accertamenti anche sul corpo. Aspettiamo a giorni una risposta”.
“Quando la avremo la valuteremo attentamente; dopodiché decideremo come muoverci, come procedere. L’obiettivo è quello di raggiungere la verità, qualunque essa sia. Per farlo siamo disposti a ricorrere a tutti i mezzi a nostra disposizione. Ci siamo spinti fino all’avocazione, che è un atto molto grave: stante anche il silenzio della Procura, l’assenza totale di un confronto con la parte offesa, che è rappresentata dalla famiglia di Patrizia, non abbiamo potuto fare diversamente”.