È una storia sconvolgente, quella riguardante l’omicidio di Luca Varani, il giovane di 23 anni ucciso al culmine di un festino a base di alcol e droga dai coetanei Manuel Foffo e Marco Prato. Una storia che otto anni dopo è ancora impressa nella mente di molti. Per raccontarla dobbiamo fare un passo indietro.

La storia di Luca Varani e del suo omicidio a Roma

Tutto inizia il 5 marzo del 2016. Manuel Foffo, di 28 anni, è diretto in Molise insieme ai suoi familiari per prendere parte ai funerali dello zio Rodolfo quando, durante il tragitto in auto, confessa al padre di aver ucciso un ragazzo di cui non ricorda il nome insieme a un amico, un coetaneo conosciuto qualche mese prima a una festa: Marco Prato.

Gli dice che il corpo della vittima si trova ancora nel suo appartamento, al civico 2 di via Iginio Giordani, nel quartiere Collatino di Roma. La sua faccia è gonfia, provata: è ancora sotto l’effetto di cocaina. Valter Foffo non ci pensa due volte: fa inversione di marcia, avverte l’altro figlio, il maggiore e, dopo aver contattato un avvocato, si precipita in una caserma romana, convincendo Manuel a costituirsi.

Poco dopo il 28enne accompagna i carabinieri sulla scena del crimine: nella sua camera da letto c’è un piumone arancione che nasconde il corpo nudo e martoriato del 23enne Luca Varani. Si trova lì da almeno 48 ore: il giovane è stato ucciso, secondo Foffo, nella notte tra giovedì 3 e venerdì 4 marzo.

La confessione

“Ricordo solo che la morte è avvenuta dopo tanto tempo e che Luca ha sofferto molto. Lo abbiamo torturato”, racconta nel corso di un interrogatorio, sostenendo che sia stato il suo complice, Prato, ad infliggergli la coltellata fatale, al cuore, dopo averlo attirato nell’appartamento con la promessa che gli avrebbe dato soldi e droga.

Racconta che Luca “si prostituiva” e che aveva accettato di prendere parte al festino a base di alcol e sostanze stupefacenti che da diversi giorni andava avanti nel suo appartamento non sapendo a cosa sarebbe andato incontro: dice che dopo averlo drogato lui e Prato lo hanno colpito con dei coltelli e con un martello e che poi, come se nulla fosse, hanno fatto sesso e dormito accanto al suo corpo senza vita.

L’arresto, il processo, il suicidio di Marco Prato in carcere

Quando i carabinieri riescono a rintracciare Prato nella stanza di un hotel situato in zona piazza Bologna, il 29enne ha da poco provato a suicidarsi ingerendo dei farmaci, ma è ancora vivo. Una volta fermato incolpa Foffo di tutto: i due, in sostanza, si additano a vicenda la responsabilità di quanto accaduto.

Stando alla ricostruzione ufficiale, avrebbero ucciso Luca Varani in preda ai deliri degli oltre mille euro di cocaina che avevano acquistato e consumato, scegliendolo a caso tra i contatti che avevano sul cellulare. Per l’omicidio Manuel Foffo è stato condannato a 30 anni di reclusione. Marco Prato, che pure era stato incarcerato e rinviato a giudizio, è morto suicida prima che il processo a suo carico potesse iniziare.

In un biglietto lasciato nella cella del carcere di Velletri che divideva con un altro detenuto aveva scritto: “Non ce la faccio a reggere l’assalto mediatico che ruota attorno a questa vicenda”. Il giorno dopo avrebbe dovuto presentarsi in tribunale. Una tragedia nella tragedia, secondo molti: Prato, che aveva già provato a togliersi la vita, avrebbe infatti dovuto essere controllato. Di questo e molto altro ha parlato lo scrittore Nicola Lagioia nel suo libro La città dei vivi.