Il regista Andrew Haigh ritorna al cinema con un toccante film che lascia senza fiato.
Tratto dall’omonimo romanzo dello scrittore giapponese Taichi Yamada, “Estranei” con Andrew Scott e Paul Mescal ti scava dentro cercandoti l’anima fino a lacerarti. Uscito nelle sale italiane lo scorso 29 febbraio racconta la storia di un uomo rimasto orfano all’età di dodici anni che, mentre costruisce una relazione sentimentale con un vicino di casa, va alla ricerca di redenzione e conforto cercando i genitori defunti tra le mura della sua vecchia dimora d’infanzia.
“Estranei”, recensione
Il sole sta per sorgere e da una grande finestra di un appartamento nella periferia di Londra si mostra, incantevole, un cielo che si tinge d’azzurro e di rosa. In lontananza si vedono i palazzi della città.
Nel silenzio penetrante tipico delle prime ore del mattino la coscienza non sembra trovare riposo.
Adam (Andrew Scott) ha circa quarant’anni, fa lo sceneggiatore, vive da solo in un nuovo complesso residenziale ancora poco abitato, ha capelli e occhi scuri e un volto ordinario.
Benché a una prima occhiata non lo diresti c’è qualcosa di fortemente affascinante nel suo viso quando ti osserva sorridendo, quando assorto ti scruta in silenzio guardandoti fisso.
Una notte, per caso, qualcuno bussa alla sua porta: si chiama Harry, ha poco più di vent’anni e vive un paio di piani più giù.
Due occhi blu profondo e una faccia fatta per essere ricordata, un sorriso affascinante dalla dentatura perfetta, indossa una felpa color pesca che mette in risalto il suo incarnato niveo.
Harry (Paul Mescal) ha un disperato bisogno di compagnia e dietro qualche battuta e una risata, nasconde una tormentata richiesta d’aiuto che Adam purtroppo non è pronto ad accogliere.
Non lasciandolo entrare in quel momento condannerà entrambi a un isolamento opprimente, ma qualche giorno più tardi sarà proprio Adam a tentare un approccio in ascensore.
Ed è così che in un incrocio di corpi caldi che si stringono in profondissimi abbracci, di labbra che si tengono cingendosi compatte, di pelli solleticate da mani maliziose, di sguardi che vispi e insaziabili scrutano curiosi per sfamare il desiderio bruciante di carne e d’amore, nasce un ardore incandescente come una scintilla che dietro la soddisfazione carnale cela una fame cieca d’affetto.
Entrambi, ognuno a modo proprio, hanno imparato a convivere ogni giorno con una solitudine che ti pugnala a morte. Soli, semplicemente, si trovano in un mondo di gente che non si cerca più.
Incontrandosi, rapidamente, si scontrano per fondersi in un groviglio di passioni e insicurezze, per trovare riparo e conforto tra le braccia di un altro essere umano.
Contemporaneamente, nello stesso periodo, Adam sta cercando di scrivere una sceneggiatura sulla sua giovinezza.
A dodici anni, la notte di Natale, i suoi genitori sono morti improvvisamente in un incidente stradale.
Cresciuto con la nonna materna, ha custodito le sue emozioni così a lungo da dimenticarsi cosa si prova a essere vulnerabili. Ѐ proprio in quell’emarginazione soffocante, con cui condivide tutte le sue giornate, che ha trovato salvezza.
Nei decenni che si sono susseguiti pesanti come un macigno non ha avuto amici, amanti, amori.
Morta anche la nonna e i parenti che gli restavano è rimasto irrimediabilmente solo in un universo d’abbandono e desolazione, che però aveva sempre percepito dentro di sé in una dimensione solitaria che sin da bambino lo aveva tenuto sotto scacco.
Non riuscendo a scrivere, va a cercare ispirazione nella sua vecchia casa dove aveva vissuto con mamma (Claire Foy) e papà (Jamie Bell) fino alla loro scomparsa.
Passeggiando nel suo quartiere d’infanzia si accorge di essere seguito da un uomo: capelli castani dai riflessi ramati, baffi, occhi celesti come l’oceano, abbigliamento anni ‘80. Sorridendogli l’uomo lo saluta, gli chiede di seguirlo.
Adam, inspiegabilmente felice, si incammina con lui.
Arrivati all’ingresso di quella villetta così familiare li accoglie una donna che fa fatica a nascondere l’emozione: le labbra tremano, gli occhi si inumidiscono. Ha una bellezza particolare, delicata.
La pelle così chiara da risultare quasi trasparente, spicca a contrasto con una cascata di capelli bruni dalle punte dorate e con i toni turchesi e smeraldo dell’iride.
Sono proprio loro: i fantasmi di suo padre e sua madre.
Senza troppe esitazioni entrano tutti e tre nella loro dimora; brindano, chiacchierano, si raccontano.
Nessuno di loro fa un fiato, nessuno dei tre si domanda cosa stia succedendo. Semplicemente si confidano cosa è accaduto in tutto questo tempo.
Da quella sera Adam prenderà di tanto in tanto a tornare in quella casa piena di ricordi e di dolori mai elaborati e mentre il rapporto tra lui ed Harry cresce con naturalezza, quello coi suoi genitori avanza in una consapevolezza nuova imparando ad affrontare sensi di colpa e rimorsi di coscienza, vedendoli accettare la sua omosessualità e ritrovandosi lui stesso ad assolvere la loro superficialità e la loro incapacità d’un tempo di comprendere fino in fondo l’identità e le paure di un giovane ragazzo ormai diventato adulto.
Ma tutta questa galassia di infinito amore e perdono sarà reale, o è solo frutto dell’inconscio turbato di un uomo rimasto un po’ bambino?
“Estranei”, critica
Andrew Haigh, al suo nono film per il cinema, presenta “Estranei” una dolorosa pellicola tratta dal romanzo omonimo del 1987 di Taichi Yamada (già portato sul grande schermo nel 1988 dal regista giapponese Nobuhiko Obayashi col titolo “The Discarnates”).
Questo lungometraggio non affronta esclusivamente il tema dell’omosessualità e dell’accettazione di essa in famiglia, ma si immerge in un universo di emozioni complesse mai elaborate, ti entra dentro per farti male, ti parla, con la voce rotta del pianto, di espiazione e necessità di pace per l’anima.
Reale o no, ti fa assistere allo spettacolo meraviglioso di due genitori che chiedono perdono e comprensione a un figlio ritrovatosi solo. Ti scuote con dolcezza facendoti capire quanti pochi attimi abbiamo a disposizione e di quanto la vita sia nettamente più importante di tutte quelle banali, minuscole, insignificanti inezie alle quali ci attacchiamo ogni giorno appesantendoci, costringendoci a vivere in apnea tra odi e rancori privi di ogni logica.
Ѐ la rappresentazione di una storia che ti apre uno squarcio nel petto, una ferita lacerante e un bisogno tormentato di redenzione e indulgenza.
Il regista, con la complicità dei protagonisti, riesce a farti percepire addosso, con una sensazione potente e graffiante, tutto il calore di due persone che si desiderano ardentemente.
Quella passione così prepotentemente forte la senti come se la stessi vivendo in prima persona.
Le scene di intimità non ti mettono a disagio, piuttosto ti fanno timidamente arrossire in un imbarazzo emozionante come se le vivessi tu stesso.
Quell’attrazione che t’appare chiara e nitida finalmente spiega con naturalezza muta, senza alcuna parola, che l’incontro di due esseri umani che si uniscono va al di là del sesso e delle logiche di genere.
Ti mostra come ogni forma d’amore è identica e diversa da tutte le altre.
Questo film è una piccola perla, un capolavoro che unisce sofferenza e assoluzione.
Personalmente l’ho trovato così bello e toccante, da dargli quattro stelle e mezzo su cinque.