La Securities and Exchange Commission degli Stati Uniti sembra decisa a condurre una vera e propria guerra di posizione contro le criptovalute. Una crociata la quale, però, inizia a destare una certa contrarietà anche nelle istituzioni.
A testimoniarlo è quanto sta accadendo a margine della decisione della SEC di portare in tribunale l’exchange Kraken. Arkansas, Iowa, Mississippi, Montana, Nebraska, Ohio, South Dakota e Texas hanno infatti deciso di prendere le parti dello scambio crypto, anche se l’annuncio è mitigato dal fatto che a motivarli in tal senso non sarebbe tanto la voglia di asset virtuali, quanto l’intenzione di impedire che l’autorità di vigilanza dei mercati monetari USA esondi dalle proprie prerogative. L’assunto della presa di posizione è abbastanza implicito: la SEC sta uscendo dai propri confini, invadendo una sfera che non gli compete.
SEC contro Kraken: cosa sta accadendo
“Le azioni di enforcement di SEC superano i poteri che le sono assegnati. La corte dovrebbe rigettare la categorizzazione dei crypto asset come security. L’esercizio da parte di SEC di questi poteri che non le sono stati assegnati mette a rischio i consumatori degli stati a rischio, limitando il campo d’azione di statuti che possano meglio proteggerli da rischi specifici dei prodotti che non sono security”: questa è la posizione ufficializzata dagli Stati nella vertenza dell’autorità di controllo dei mercati finanziari contro Kraken.
Ai fatti, però, occorre aggiungere le implicazioni politiche della questione. A partire dall’ormai acclarata ostilità dei repubblicani nei confronti del numero uno di SEC, Gary Gensler. A questa prima questione, poi, se ne va ad aggiungere una seconda, quella rappresentata dall’eterno dissidio tra governo federale e istituzioni locali.
In definitiva, Kraken, come altre entità facenti riferimento all’innovazione finanziaria, si ritrova ad essere sballottato in una contesa che di tecnico ha ben poco. Anche se, occorre sottolinearlo, le criptovalute sono diventate nel corso delle ultime settimane un ennesimo campo di divisione tra democratici e repubblicani.
La politica e le criptovalute: un rapporto controverso
Il rapporto tra istituzioni e innovazione finanziaria è ormai da tempo irto di spine. Se gli asset virtuali vantano qualche sostenitore nei partiti politici, non di rado vengono attaccati con toni veementi da personaggi di spicco.
Come è accaduto nel caso di Donald Trump, l’ex presidente repubblicano che è di nuovo in corsa per la Casa Bianca. Dopo aver per anni attaccato il Bitcoin, nel corso degli ultimi giorni questi ha smussato i suoi toni nei confronti dell’icona crypto. Sino ad affermare che se viene utilizzato da molte persone, occorre cercare di trovare la strada per una coabitazione con la valuta fiat.
Una nuova strategia che ha colpito non poco, considerata la virulenza dei suoi attacchi di un tempo, ispirata del resto dalla volontà di difendere il dollaro. Una difesa che ora, però, passa dall’ostracismo verso la CBDC (Central Bank Digital Currency) che secondo Trump sarebbe nei piani di Joe Biden. Il dollaro digitale è al momento considerato irricevibile dai repubblicani, tanto da aver spinto il senatore Ted Cruz a presentare un disegno di legge per il suo bando.
Ma la questione che sta attirando le maggiori attenzioni al momento è rappresentata dal progetto di legge presentato da Elizabeth Warren. La senatrice democratica del Massachusetts è da tempo considerata una bestia nera dai criptofans. La sua colpa è di chiedere una regolamentazione stringente sugli asset virtuali. Lo ha fatto ora con il il Digital Asset Anti-Money Laundering Act (DAAMLA), che ha però provocato una levata di scudi da parte della Blockchain Association.
Dopo aver fatto la consueta opera di lobbying, l’associazione che riunisce le realtà del settore ha addirittura appoggiato John Deaton, avvocato repubblicano pro-criptovalute. Sarà proprio lui a sfidare la Warren a casa sua, in una sfida che si prospetta incentrata proprio sugli asset virtuali.